Come Milano sconfisse la TBC

21 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus

Come Milano sconfisse la TBC



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Tra la tubercolosi e l'AIDS c'è molto in comune: persino nell'impatto sulla produzione artistica. Infatti, se Mark Ravenhill mette in scena un malato di AIDS in Polaroid molto esplicite, vale la pena di ricordare che la Violetta della Traviata verdiana era tisica, e forse lo era anche il giornalista Forestier del Bel Ami di Maupassant.
Tubercolosi che, però, ha rappresentato, anche in Italia, una vittoria della sanità e della medicina, tanto che per decenni la si è considerata un reperto archeologico, o poco più. A ricordare questi fatti viene oggi un documentatissimo libro, "La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare". Un'opera storica scritta a più mani, che di quel periodo, che va dagli ultimi decenni dell'Ottocento all'ultimo anno della II Guerra mondiale, prende in considerazione l'aspetto epidemiologico generale, la malattia, quello particolare, Milano, ma anche la storia degli uomini e dei luoghi della cura. Tre gli autori: Giorgio Cosmacini, Maurizio De Filippis e Patrizia Sanseverino. Tre storici a tutto tondo, ma fortemente coinvolti nella medicina praticata: Cosmacini è medico e radiologo, De Filippis lavora al laboratorio dellOspedale Luigi Sacco di Milano, oggi polo universitario ma un tempo uno dei principali sanatori, cioè ospedali specializzati nella cura della TBC, di Milano e della Regione intera.

Una malattia sociale


In ogni caso, la tubercolosi rappresenta un modello di malattia sociale "perché tra i fattori di rischio principali troviamo la marginalità sociale" spiega Maurizio De Filippis "che significa deficit nutrizionali, cattive condizioni abitative. Le stesse condizioni che oggi interessano anche le popolazioni immigrate, tra le quali non a caso la tubercolosi sta riemergendo". Una malattia sociale che, oltretutto, per lungo tempo è stata priva di una trattamento farmacologico, come del resto anche le altre infezioni, fino all'arrivo degli antibiotici. Una situazione, quindi, in cui la cura dei colpiti ma anche il contenimento del contagio, erano affidati in primo luogo al ricorso all'ospedale "In questo senso Milano è stata una vera e propria capitale sanitaria" dice il dottor De Filippis. "I presidi ospedalieri, i sanatori, sono nati qui già in era preantibiotica, costituendo una rete che interessava tutta la Lombardia". Milano, dunque, un centro della lotta alla TBC, anche perché una delle prime città italiane a essere interessata dall'industrializzazione e, di conseguenza, dall'urbanizzazione, dal sovraffollamento e dagli altri inevitabili corollari di questa fase storica, testimoniata per esempio dai romanzi di Charles Dickens.
E accanto alle strutture, le persone: figure di medici sociali, cioè medici, come si legge nella prefazione di Mara Tognetti Bordogna "che si sono dedicati alla cura ma anche all'impegno civico affinché fossero garantite a tutti, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza, adeguate cure. Medici che hanno contribuito in modo forte politiche sanitarie nazionali e locali". Non si dimentichi che negli stessi anni Milano è anche il centro del dibattito su un altro aspetto non troppo lontano da quello di cui si tratta: la medicina del lavoro, che vede in Luigi Devoto il pioniere italiano.

Un modello sempre valido


Un modello che si è rivelato vincente, si è detto, ma che non per questo, retrospettivamente è stato privo di difetti. "Il limite principale è stato fornire una risposta centrata quasi esclusivamente sull'ospedale, sul ricovero. Insomma sul chiudere i malati al di là di recinti" dice De Filippis, anche se, aggiunge, si è avuta, e se ne occupa una delle sezioni del libro, anche la nascita, più tardi, di un'attività di prevenzione con la creazione dei dispensari territoriali. Un elemento fondamentale, descritto nel libro da Patrizia Sanseverino, che ha esteso i suoi effetti ben oltre l'orizzonte temporale abbracciato da libro e che, come commenta De Filippis, è stato poi smantellato.
Come sempre quando si guarda alla storia andando oltre al banale elenco di date, luoghi e nomi, emergono lezioni importanti. La prima è che la rete della tutela della salute territoriale è fondamentale, così come le misure di igiene e profilassi pubbliche: quando vengono a mancare le malattie riprendono vigore. Ne seppe qualcosa la Russia, dopo lo smantellamento dell'Unione Sovietica: venute meno le campagne vaccinali, per ragioni economiche e organizzative, persino la difterite è tornata alla ribalta. E quanto alla tubercolosi, attenzione: sta tornando e, come detto, perché stanno tornando le condizioni socioeconomiche che la favoriscono. E fa riflettere il fatto che è stato proprio a Milano che si è presentata in Italia, la prima epidemia intraospedaliera di tubercolosi multiresistente, cioè quella che non risponde al trattamento con almeno due dei principali farmaci in uso (che sono in totale quattro). La lezione dei grandi tisiologi del passato, da Maffi a Daddi, è ancora valida, basta applicarla.

Maurizio Imperiali



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