Ospedalieri all'americana

25 luglio 2008
Aggiornamenti e focus

Ospedalieri all'americana



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Paese che vai, ospedale che trovi. Magari le differenze non sono così evidenti in Europa, almeno nell'ultimo ventennio, ma certo tra qui e gli Stati Uniti la differenza è forte. Lo prova, per esempio, la figura dell'hospitalist, termine che si può tradurre approssimativamente con ospedaliero. Questa figura negli Stati Uniti è una relativa novità, si risale agli anni novanta, ma il suo ruolo è semplice da comprendere: è il medico che opera soltanto in ospedale e al quale viene affidato il paziente, così da coordinare le attività degli altri operatori sanitari (infermieri, ostetriche, tecnici...) ma anche il ricorso agli specialisti che all'interno dell'ospedale operano (cardiologo, chirurgo eccetera). Di suo, l'hospitalist è un internista, cioé un medico teoricamente capace di affrontare tutte le patologie non chirurgiche con abilità e conoscenze adeguate.

A tempo pieno in corsia


Quello che è veramente una novità è che si tratta di un medico che esercita soltanto in ospedale, cosa che non è (non era) la norma negli Stati Uniti. Lì il medico di solito ha una doppia attività: esercita nel suo studio, magari assieme ad altri specialisti, e poi esercita in ospedale. Quindi l'ipotetico signor Brown che avesse un attacco di appendicite, probabilmente sarebbe visitato a casa dal suo curante (internista o quel che è) che con tutta probabilità lo seguirà anche nell'ospedale dove egli esercita. Ovviamente, internista cederà temporaneamente il campo a eventuali specialisti necessari: nel caso dell'appendicite il chirurgo. Il sistema ha retto praticamente da sempre, ma negli ultimi tempi alcune situazioni hanno incrinato il modello tradizionale. Per cominciare, sempre più spesso affluiscono all'ospedale persone che non hanno un medico curante, tantomeno uno specialista di fiducia. Questi chi li segue? Inoltre, il sistema in cui a tenere le redini del percorso è un medico esterno/interno portava alcune conseguenze indesiderate. Per esempio, c'era la questione della duplicazione dei test diagnostici, inevitabile quando vi è una scarsa comunicazione tra specialisti, così come si verificava un allungamento delle degenze, che alle assicurazioni e alle health maintenance organisation non piace affatto.

Vantaggi clinici


Ma ci sono anche vantaggi nei risultati clinici: per esempio, associare degli hospitalist all'equipe di chirurgia ortopedia ha permesso di ottimizzare la cura dei pazienti più anziani che quasi sempre hanno diverse malattie concomitanti e, anzi, è proprio a causa di condizioni generali precari che devono ricorre alle cure dell'ortopedico. Insomma tutti aspetti positivi? Sì, dicono i sostenitori di questa miniriforma dell'ospedale americano. Un europeo, però, potrebbe sostenere che da sempre ci sono gli ospedalieri a tempo pieno e che in Italia, poi, è già da tempo che anche l'attività privata degli ospedalieri si cerca di ricondurla all'interno dell'ospedale stesso, con la cosiddetta attività intramoenia, ma ciononostante difficoltà ce ne sono ancora. Ma ci sono anche degli inconvenienti ad avere ospedalieri a tempo pieno? Secondo alcuni sì, come si spiega in un altro articolo, e anche in questo caso qualche rimando all'Italia c'è. Perché, alla fine, non si inventa mai nulla, o almeno non completamente.

Maurizio Imperiali



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