Liste d'attesa

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Liste d'attesa



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Oltre 60 giorni per una mammografia e più di 45 giorni per un'ecografia addominale: sono questi alcuni dei dati più sconcertanti emersi il 31 maggio a Roma durante la XXII Giornata nazionale dei diritti del malato, promossa dal Tribunale per i diritti del malato. "Il monitoraggio dei tempi di attesa è da anni una delle principali attività del Tribunale" afferma Stefano Inglese, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato "e parlare di liste d'attesa significa discutere di fiducia tra cittadini e servizio sanitario". Fiducia che, negli ultimi anni, rischia di essere seriamente compromessa proprio a causa del troppo tempo che un cittadino si trova a dover aspettare prima di poter essere sottoposto a un esame diagnostico. Il monitoraggio è stato condotto nella settimana dal 16 al 24 maggio 2002 e ha avuto come oggetto alcune prestazioni diagnostiche, tradizionalmente controllate dal Tribunale proprio perché ricollegate a eccessive liste di attesa. In particolare, le prestazioni analizzate sono state: l'ecografia addominale, l'ecografia mammaria, l'ecografia ostetrica (nel primo trimestre di gravidanza), l'ecografia ginecologica, la mammografia, l'elettrocardiogramma, l'ecocolordoppler, l'esofagogastroduodenoscopia, la colonscopia, la T.A.C. e l'R.M.N.

Quattro i punti focali analizzati in ogni prestazione:
  • il tempo di attesa nel canale istituzionale;
  • il tempo di attesa in intramoenia (attività privata all'interno delle mura ospedaliere);
  • il numero di cittadini in lista di attesa in entrambi i canali (istituzionale e intramoenia);
  • l'eventuale presenza di liste chiuse.

I risultati


Ecografia addominale
Nel 40% dei casi i cittadini per fare questo esame attendono oltre 60 giorni. Termine, questo, considerato dalla maggior parte delle Regioni come tempo massimo di attesa per le prestazioni diagnostiche. Se, però, come limite massimo si considerano i più tradizionali 45 giorni, le realtà che non riescono a garantire il servizio aumentano fino al 57%. Non solo: in più della metà delle città dove è superato il limite di 60 giorni, i pazienti attendono fino a 3 mesi e in 3 casi si superano anche i 100 giorni di attesa. La situazione peggiore si trova a Brindisi, dove i cittadini per fare un'ecografia addominale possono attendere anche fino a quasi 8 mesi di tempo (172 giorni).

Ecografia mammaria
Superato, anche qui, il limite di 45 giorni di attesa nel 60% delle realtà monitorate e il limite di 60 giorni di attesa in oltre il 43% dei casi.

Mammografia
In questo caso la situazione è ancora più seria: il 60% delle volte bisogna aspettare più di 60 giorni e in questi casi 3 volte su 4 i tempi di attesa superano anche i 4 mesi di tempo (il doppio del tempo massimo previsto per le mammografie!), fino a toccare gli 8 mesi a Udine e il record di un anno a Pordenone.

Ecografie nel primo trimestre di gravidanza
Un leggero miglioramento è stato evidenziato nelle Regioni in cui sono stati introdotti dei protocolli specifici per la gravidanza, anche se nel 40% dei casi le realtà monitorate non riescono ancora a garantire il servizio entro 30 giorni dalla richiesta (limite massimo per questo tipo di prestazione). Una situazione un po' meno problematica, invece, è stata evidenziata nei casi in cui la paziente richieda una normale ECOGRAFIA GINECOLOGICA (ad eccezione delle città di Potenza, Cagliari e Nuoro).

Elettrocardiogramma
Nettamente migliore la situazione di chi ha bisogno di fare un elettrocardiogramma. In questa ipotesi, infatti, non ci sono tempi di attesa o, comunque, non si attende più di 2 giorni nel 34% circa dei casi. Se, invece, si considera un tempo di attesa fino a 12 giorni la percentuale sale al 60%, un dato decisamente positivo. Restano, invece, nella"lista nera" i tempi di attesa di Potenza, Cagliari e Cuneo.

Ecocolordoppler
Nel 38% dei casi l'attesa è inferiore ai 60 giorni, ma una volta su quattro sono necessari più di 5 mesi, fino a 6 mesi (o poco più) nelle città di Brindisi, Siracusa e Roma, e fino a un massimo di 7 mesi nella città di San benedetto del Tronto.

Gastroscopia
Per questo tipo di esame, sempre secondo i risultati dell'indagine, nel 40% dei casi si attende non meno di 45 giorni e, nel 20% dei casi, l'attesa supera anche i 60 giorni.

Colonscopia
Questo esame, nel 33% dei casi, non è garantito prima di 60 giorni (e non prima di 8 mesi a Udine). Nel 50% dei casi, però, la diagnosi avviene entro 45 giorni dalla richiesta.

T.A.C. fuori dal ricovero
Riuscire a fare una T.A.C. prima di 60 giorni dalla richiesta, nel 33% dei casi, è ancora un problema. L'attesa, poi, può raggiungere anche i 5 mesi (e più) nella città di Bologna. Nel 43% dei casi, comunque, la prestazione non avviene prima di 45 giorni.

La Regione fa la differenza


Tracciando un ipotetico quadro complessivo, il Tribunale per i diritti del malato vede tra i primi posti nella graduatoria generale la Toscana e la Lombardia, che evidenziano un lento, ma progressivo processo di miglioramento. Peggiora, invece, la situazione del Piemonte, mentre quella dell'Emilia Romagna può essere considerata buona, anche se con qualche punto debole. Agli ultimi posti, infine, si trova la Sardegna e, ancora più sotto, la Puglia. In pratica si sono venute a formare 4 diverse situazioni regionali:
  1. le Regioni che riescono a programmare e controllare la situazione, anche dal punto di vista della spesa;
  2. le Regioni che, come strategia per risolvere il problema delle liste d'attesa, optano per l'allargamento del mercato e della libera scelta;
  3. le Regioni che realizzano interventi congiunturali, molto efficaci nei casi di eventuali emergenze, ma incapaci nel lungo periodo di risolvere il problema alla radice;
  4. le Regioni che non attuano particolari strategie e che appaiono, al contrario, disinteressate a risolvere il problema.

Intramoenia inefficace

Molte speranze di poter ridurre i tempi di attesa per gli esami diagnostici sono state poste nel moderno sistema delle prestazioni inintramoenia, cioè nell'attività libero professionale dei medici ospedalieri svolta all'interno della struttura pubblica. Dai risultati del monitoraggio presentati dal Tribunale, però, il sistema non sembra aver migliorato la situazione. L'obiettivodell'intramoenia era di permettere ai cittadini che volevano usufruire delle prestazioni di quel determinato medico, di poterlo continuare a fare, e non certo di rappresentare un escamotage per evitare lunghe liste d'attesa, dove il paziente decide di pagare privatamente un servizio che, in realtà, dovrebbe essere garantito dal servizio sanitario nazionale."Il nostro parere" hanno dichiarato i relatori "è, quindi, di eliminare le eccessive rigidità contenute nella riforma Bindi (come l'irreversibilità della scelta per i medici), preoccupandosi piuttosto di garantire che i principi ai quali si ispirava trovino le giuste ed effettive applicazioni".

Annapaola Medina



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