Estasi alternative

04 maggio 2007
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Piperazine, BZP… dice niente? E invece è la nuova frontiera delle droghe ricreative, sulla falsariga dell’MDMA o ecstasy. In realtà queste sostanze non sono molto note neppure ai medici, tanto che è stato salutato come un passo avanti il rapporto pubblicato su Lancet, nel quale i medici di un pronto soccorso londinese hanno illustrato il caso di una giovane che con questa sostanza si è intossicata. La diciottenne aveva assunto cinque compresse di BZP, aveva quasi subito subito un collasso e, successivamente, convulsioni simil-epilettiche. In ospedale è stata trattata sulla base dei sintomi, quindi con tranquillanti per endovena (benzodiazepine) come usa per le convulsioni. Tuttavia, visto il ripetersi di casi analoghi, ai medici è venuto il sospetto che queste manifestazioni potessero essere dovute all’arrivo nella zona di una sostanza ricreativa prima non presente, e hanno proceduto anche a un esame tossicologico completo, grazie anche al fatto che la giovane aveva con sé ancora una pasticca. Dalle analisi risultò che non di ecstasy si trattava, ma di benzilpiperazina, appunto.

Vermifugo stimolante


Di questa sostanza, nata negli anni cinquanta come antielmintico (vermifugo) per animali, già negli anni settanta erano stati segnalati gli effetti sul sistema nervoso centrale, effetti che sono sostanzialmente simili e sinergici a quelli delle metanfetamine, cui appartiene anche l’ecstasy. In molti paesi, almeno fino alla fine degli anni novanta la BZP è stata considerata legale, e fatta passare come un’alternativa (più) sicura alle metanfetamine, soprattutto nel circuito degli smartshop e nelle vendite via Internet . Ma così, ovviamente, non è, ed è discutibile l’affermazione di un produttore neozelandese, che “in Nuova Zelanda sono stati consumati più di 20 milioni di compresse senza che si siano verificati decessi o danni significativi a lungo termine”. L’affermazione è incauta anche e soprattutto perché può ben essere che una parte più o meno grande degli incidenti attribuiti alle metanfetamine siano in realtà dovuti alla BZP, visto che di fronte alla sola sintomatologia non è possibile distinguere tra l’una e le altre. Infatti, i kit attualmente in uso per identificare le sostanze da abuso non prevedono le piperazine, e quindi si deve ricorre a test più sofisticati come la gascromatografia.

Pochi dati ma incontrovertibili


L’unico studio condotto sulla pericolosità della BPZ, su 80 persone, ha dimostrato invece che le convulsioni si presentano, fino a otto ore dall’ingestione, nel 19% dei casi. Ma sia pure in misura minore, possono presentarsi anche effetti potenzialmente letali, come l’allungamento dell’intervallo QT, un’anomalia dell’elettrofisiologia del cuore, e l’iponatremia, cioè la diminuzione dei livelli di sodio. Anche quest’ultima è una conseguenza comune anche alle metanfetamine. Insomma, di innocuo c’è poco nella BZP, tanto è vero che ormai in molti paesi dove era legale, per altri usi, ovviamente, è stata proibita, in Gran Bretagna, nel marzo 2007. Ovviamente, quando si tratta di cose che bene non fanno, si è corsi subito ai ripari, e dalla benzilpiperazina sono state sintetizzate altre sostanze, che sfuggono al bando ufficiale.
Che sia l’originale o uno dei derivati, queste sostanze restano pericolose anche per altri aspetti, come l’interazione farmacologica con altre droghe, per esempio la cocaina o le altre anfetamine, nonché con i farmaci che agiscono sul sistema serotoninergico. Infine, essendo largamente metabolizzata dagli enzimi citocromo p450, le persone che geneticamente hanno un’espressione limitata, o coloro che assumono farmaci la cui metabolizzazione segue la stessa via sono particolarmente esposte agli effetti avversi.

Maurizio Imperiali



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