Via il fumo grazie al medico

03 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus

Via il fumo grazie al medico



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Per smettere di fumare lo scatto di volontà è necessario ma spesso non sufficiente, è il medico di famiglia la figura che può svolgere al meglio il compito di identificare e assistere i candidati alla disassuefazione, proponendo eventualmente l'aiuto farmacologico. Le soluzioni sono diverse e negli studi clinici sono risultate più efficaci del placebo, le validazioni però sono avvenute in genere in questi setting con pazienti reclutati in ambito specialistico e quindi selezionati, ben diversi da quelli della medicina generalista: la questione vera è invece stabilire quanto tali risultati siano applicabili nella realtà della primary care. Una verifica di questo genere l'ha voluta compiere il General Practice Tobacco Cessation Investigators Group, con autori dell'Istituto Mario Negri e dell'Università di Milano, che ha valutato l'efficacia dell'utilizzo nell'ambito della medicina di famiglia del bupropione, opzione disponibile da qualche anno per la disassuefazione dal tabacco.

Astinenza doppia che con placebo


La molecola, ormai da molti conosciuta, era nata come antidepressivo, agendo come inibitore della ricaptazione delle catecolamine, neuromediatori coinvolti nel tono dell'umore, ma ha dimostrato di indurre anche l'astinenza dal fumo. Nello studio è stata impiegata come prima linea di disassuefazione, con livelli minimi di terapia psicosociale di supporto. I partecipanti, fumatori di dieci o più sigarette al giorno da almeno un anno, ultra18enni e in buona salute, motivati a smettere, sono stati reclutati tra il 2004 e il 2005 attraverso il coinvolgimento di 71 medici generalisti del Nord Italia. Ai 593 soggetti in studio è stato somministrato bupropione alla dose di 150 mg al giorno per sei giorni, seguita da 150 mg due volte al giorno per sette settimane (gruppo trattati, 400 persone) oppure placebo (le altre 193), con suddivisione in doppio cieco. Tutti tenevano un diario sulla loro astinenza dalla sigarette, convalidato dalla misurazione del monossido di carbonio o CO nell'aria espirata, nel corso delle visite previste (una iniziale più altre quattro); c'era anche un counselling telefonico, ma limitato a un giorno prima e tre giorni dopo la data fissata per l'interruzione e ancora a dieci settimane dall'arruolamento nello studio. Questi i risultati. Nel gruppo bupropione, tra la quarta e la settima settimana il 41% appariva continuativamente astinente dal fumo, contro il 22,3% del gruppo placebo; il tasso di astinenza continuativa dalla quarta settimana alla 52esima era calato al 25% per il bupropione, ma restava comunque significativamente più elevato del placebo, sceso al 14%.

Calo nel tempo, ma differenza rimasta


Il farmaco ha quindi più che raddoppiato almeno per un anno il raggiungimento della disassuefazione, dimostrando l'efficacia di un intervento di questo tipo su soggetti non selezionati come nell'ambito della medicina generale. Anche l'aderenza al protocollo è stata elevata, riguardo sia ai medici sia ai pazienti, a dimostrazione dell'applicabilità e della possibile generalizzazione del metodo. Il rovescio della medaglia è il calo nel tempo dei tassi di astinenza continuativa, ma gli autori rilevano che quelli dello studio sono comunque più elevati che in altri studi con analogo disegno e popolazione target. Altro neo è relativo agli effetti indesiderati: nei trattati con il farmaco c'è stato un aumento medio di peso di quattro chili, ma anche con il placebo è stato di 3,2; con il bupropione si sono riscontrati più casi d'insonnia, stipsi e secchezza delle fauci che con il placebo, ma meno che in altri studi (tranne la stipsi) e le percentuali di chi ha interrotto il trattamento sono state simili nei due gruppi. Un dettaglio interessante è che i partecipanti con indice di massa corporea (BMI) oltre la media sembravano rispondere meglio al farmaco di quelli con BMI minore, aspetto da esplorare che potrebbe suggerire un approccio farmacologico per la disassuefazione su misura per fumatori magri. Insomma uno studio che dimostra l'utilità della ricerca nell'ambito della primary care, possibilità prevista in Italia dall'apposita legge del 2001.

Elettra Vecchia



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