Tumore alla prostata, quale prevenzione?

23 giugno 2010
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Tumore alla prostata, quale prevenzione?



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La campagna promossa dai dicasteri della Salute e delle Pari opportunità per la prevenzione del tumore della prostata va immediatamente sospesa. A chiederlo sono alcune società scientifiche della medicina generale (Assimefac, Csermeg) e dell'area specialistica (Associazione italiana epidemiologica, Società italiana per la qualità nell'assistenza sanitaria, Associazione per la ricerca sull'efficacia dell'assistenza Sanitaria - Centro Cochrane italiano). I motivi sono riassunti in una lettera aperta indirizzata ai ministri Ferruccio Fazio e Mara Carfagna: «Poiché allo stato attuale delle conoscenze non esistono interventi di prevenzione primaria del tumore alla prostata» si legge nella missiva «una propaganda al pubblico nei termini in cui è condotta, è discutibile scientificamente ed eticamente». La preoccupazione dei medici, in sostanza, è che la campagna finisca per incrementare la domanda di test per la diagnosi precoce. «Due grandi studi controllati pubblicati nel marzo 2009 sul New England Journal of Medicine» ricorda al riguardo la lettera «hanno documentato che i danni di questo screening possono essere maggiori dei benefici. Persino negli Usa, dove il test ha avuto grande diffusione, i più determinati fautori hanno rivisto le loro posizioni invitando alla prudenza».

Lo screening del tumore prostatico, ricordano ancora le associazioni firmatarie, non è paragonabile a quello mammografico né tanto meno a quello della cervice uterina, «ed è ammissibile solo a seguito di una decisione presa sulla base di un colloquio personale tra medico e paziente, con una corretta informazione sui possibili benefici e sui possibili danni in cui può incorrere chi vi si sottopone». Il test, infatti, può rivelare la presenza di forme tumorali che invece per aggressività ed evoluzione non renderebbero necessario il trattamento terapeutico, tra i cui rischi ci sono impotenza sessuale e incontinenza urinaria. «Da un punto di vista di sanità pubblica» è quindi la conclusione della lettera «c'è unanime consenso internazionale sull'inopportunità e dannosità di promuovere l'uso di qualsiasi test in persone che non abbiano sintomi». Di qui, pertanto, la richiesta che i firmatari rivolgono ai due dicasteri: «Oltre alla sospensione della campagna così com'è formulata» le società scientifiche auspicano «l'adozione sistematica di un metodo di consultazione di operatori (medici di famiglia, epidemiologi, specialisti, esperti di sanità pubblica), di rappresentanti dei cittadini) e degli organi tecnici del Servizio sanitario implicati, sia a livello centrale (Sistema nazionale linee guida, Osservatorio screening eccetera) sia a livello regionale».



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