Tumore alla prostata, nuovi farmaci per fermarlo

04 aprile 2012
Interviste

Tumore alla prostata, nuovi farmaci per fermarlo



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Il tumore della prostata resta, dopo il tumore al polmone, la malattia oncologica più frequente negli uomini. Il rischio di ammalarsi aumenta dopo i 45 anni, ma avvalendosi di una diagnosi precoce, e cogliendo quindi la neoplasia in una fase iniziale si può intervenire in modo efficace. Chirurgia, radioterapia e ormonoterapia e a breve anche nuovi farmaci, sono gli strumenti con cui va affrontato il problema, come spiega Giuseppe Martorana, presidente della Società italiana di urologia oncologica (Siuro)

Qual è l'iter terapeutico che attende un paziente con diagnosi di tumore alla prostata?
Dipende dallo stadio della patologia. Oggi, la diagnosi è di certo più precoce, quindi cogliendo la malattia in fase iniziale, quando è localizzata si interviene con la chirurgia e/o radioterapia che dà buoni risultati nella maggior parte dei casi con guarigione completa. Se il tumore, alla diagnosi o a distanza di tempo dall'intervento, è localmente avanzato, rilevabile alla palpazione o ha oltrepassato la capsula della prostata, e quindi diventa una malattia sistemica, cioè che coinvolge tutto l'organismo, bisogna intervenire con la terapia ormonale.

In che cosa consiste questa terapia?
È un terapia sistemica che permette ai farmaci, in questo caso ormoni, di entrare in circolazione e agire in modo diffuso in tutto l'organismo. Va detto che il tumore della prostata è sensibile agli ormoni e l'ormono-terapia è di tipo sottrattivo, cioè interviene per inibire la produzione di testosterone, ormone che, oltre a essere necessario per la fisiologia della prostata, ha un ruolo sia nell'induzione sia nella progressione della malattia. È un approccio efficace al 100% ma nel tempo questa efficacia si abbassa e si perde. Senza testosterone, infatti, le cellule tumorali, come pure quelle della prostata, muoiono o si assopiscono, ma possono trovare altri fattori di crescita e quindi riprendere a proliferare. Quando ciò accade, e non è prevedibile quanto tempo impieghi, il tumore viene detto ormono-resistente, e la terapia ormonale smette di funzionare.

In questi casi che cosa accade?
Va preso in considerazione un trattamento di seconda linea che si avvalga di una chemioterapia, con i taxani e altri farmaci attivi nel trattamento di questo tumore, oppure di terapia ormonale di seconda linea che miri a intervenire in modo diverso nella sintesi del testosterone. Su questi fronti ci sono nuove prospettive farmacologiche. Al momento non ci sono nuovi farmaci in commercio, ma diverse molecole sono in studio e alcune in via di approvazione. Tra questi, l'abiraterone, farmaco ad azione di tipo ormonale, che colpisce il ciclo di produzione del testosterone in un punto diverso da quello bersagliato dalla terapia ormonale attualmente disponibile. È un farmaco in via di approvazione, e riceverà l'indicazione di farmaco di seconda linea, pensato anche per prolungare una terapia ormonale che non funziona più e in alternativa alla chemioterapia. Ha pochi effetti collaterali non particolarmente importanti. L'altra novità, invece, è un chemioterapico, il cabazitaxel. È già in uso nel trattamento del tumore mammario e ovarico e comporta gli effetti collaterali tipici della chemioterapia. Altre molecole in studio, ma ancora lontane dall'approvazione, sono Mdv 3100, un altro farmaco ad azione ormonale e alfaradin, in studio per trattare le metastasi ossee, quindi in pazienti con la patologia in stadio avanzato. È in corso anche una ricerca in fase preliminare sul fronte dell'immunoterapia, con un vaccino che miri ad aumentare le difese immunitarie del paziente.

Simona Zazzetta



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