Cancro prostata, biopsie in 3D migliorano la diagnosi

21 settembre 2012
Interviste

Cancro prostata, biopsie in 3D migliorano la diagnosi



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La lotta al tumore della prostata si arricchisce di nuovi strumenti per la diagnosi e per la terapia con vantaggi sempre più significativi per il paziente, in termini di qualità e di prolungamento della vita. Le novità sono state presentate e discusse dagli urologi, in occasione del 19mo Congresso nazionale Auro (Associazione urologi italiani) tenutosi a Genova. In particolare, si è parlato di un nuovo metodo diagnostico per eseguire le biopsie che sfrutta la tecnologia del 3D e di nuovi farmaci che permettono di modulare il trattamento scegliendo sequenze diverse.

«Con la tecnologia usata finora per le biopsie» spiega Paolo Puppo, responsabile dell'Urologia oncologica dell'istituto Humanitas di Castellanza «bisogna eseguire molti prelievi per aumentare la probabilità cogliere le lesioni, poiché con una guida ecografica tradizionale non è noto dove l'ago preleva il campione. Con la tecnologia in 3D, grazie a un software, che associa ecografia e imaging, è possibile seguire il passaggio dell'ago, vedendo esattamente dove campiona il tessuto, con una registrazione dei tragitti fatti, utile per un'eventuale biopsia successiva». Diversamente da quanto è avvenuto fino ad oggi con l'uso dell'ecografia, che fornisce una localizzazione della biopsia solo in 2 dimensioni, senza la registrazione del tragitto dell'ago, con questa nuova tecnica sarà possibile registrare una mappa tridimensionale delle biopsie eseguite, che permetterà di ricostruire con precisione la localizzazione e il volume del tumore. Questi dati, sostengono gli urologi, assieme al grado di malignità del tumore, contribuiscono in maniera decisiva a stabilire la categoria di rischio cui il paziente è esposto e una volta stabilito con accuratezza il rischio, il trattamento sarà pianificato con maggiore efficacia, riducendone peraltro i possibili effetti collaterali. È una tecnica che promette di aumentare il tasso di identificazione dei casi, aggiunge Puppo, «se oggi ogni 100 biopsie il 25% scova il tumore e il 75% no, con il 3D si invertono le percentuali, poiché con una maggiore precisione cala la possibilità di biopsie inefficaci. E allo stesso tempo diminuisce anche il numero di seconde biopsie dopo una prima dubbia».

Sul fronte delle terapie ci sono nuove opzioni: «La disponibilità di nuove molecole come abiraterone, enzalutamide, alpharadin e cabazitaxel, per il trattamento del cancro prostatico avanzato metastatico resistente alla terapia ormonale» dichiara Giario Conti, presidente uscente Auro «permette di modulare il trattamento scegliendo sequenze diverse a seconda del paziente finora obbligato a schemi fissi». Con vantaggi di sopravvivenza oggi arrivata a tre anni contro una prospettiva di vita che non andava oltre un anno: «Con questi farmaci abbiamo più carte da giocare ed è una sorta di rivoluzione in un ambito in cui sta avvenendo qualcosa di simile a quanto accaduto per il cancro alla mammella: prima si guadagna qualche mese di sopravvivenza per poi arrivare a guadagnare anni di vita del paziente con rallentamento della patologia e mantenimento della qualità della vita».

L'incontro tra gli urologi è stata anche l'occasione per invitare a una maggiore attenzione sul tema dell'appropriatezza degli esami di controllo in ambito urologico cui si sottopone il paziente quando viene avviato a un trattamento, il cosiddetto follow up. La prescrizione di accertamenti dovrebbe essere eseguita nell'interesse del paziente, per monitorare l'efficacia della terapia o eventuali ricadute, ma come spiega Pierpaolo Graziotti, neo-presidente della Auro, «spesso il follow up è modulato dai principi della medicina difensiva, per dare un'immagine di adeguatezza della cura ma troppo di frequente fuori da protocolli scientifici e linee guida». Secondo Graziotti, per fare qualche esempio, non c'è un razionale per fare controlli annuali dopo la chirurgia per tumore renale quando la letteratura scientifica indica che il 95% dei pazienti non sviluppa la patologia nei successivi 10 anni, come pure eseguire frequenti cistoscopie in pazienti trattati per neoplasia vescicale risultati negativi all'esame, in questo caso andrebbe fatta una volta l'anno non di più. «Il risultato» conclude l'esperto «sono esami superflui, un eccesso di radiazioni cui il paziente viene sottoposto e un costo aggiuntivo per il Servizio sanitario che si potrebbe evitare. Si tratta di un chiaro abuso di follow up e di un falso modo per tranquillizzare il paziente, cui spesso il medico ricorre per difendersi dalla paura di venire denunciato».

Simona Zazzetta



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