Quando un esame non basta

12 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus

Quando un esame non basta



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Gli studi epidemiologici hanno l’obiettivo e la funzione di definire un livello di rischio per una determinata malattia o disturbo sulla base di dati statistici. Vale a dire che se un numero di persone (il più ampio possibile) presenta un profilo di un certo tipo, indicato da esami clinici, e nel tempo ha sviluppato la patologia, è probabile che chi possiede quello stesso profilo sia esposto anche agli stessi rischi. Da qui il desiderio da parte del paziente di discostare il più possibile dai limiti i valori dei propri esami per sentirsi, in qualche modo, al sicuro.

Intervalli poco sicuri


Tra i più recenti, si può prendere a esempio il lavoro pubblicato dal New England Journal of Medicine sul rischio diabete. I soggetti presi in considerazione erano più di 13 mila, monitorati dal 1992 fino al 2004. Erano uomini, militari israeliani, di età compresa tra i 26 e i 45 anni. In questo campione sono stati raccolti i valori ematochimici, i dati delle visite mediche, le altre informazioni sanitarie e relative allo stile di vita. Il valore della glicemia a digiuno (fasting glucose) assunto come riferimento soglia era 100 mg per decilitro: al di sotto è normale, al di sopra non è chiaro. Vale a dire che per una fascia di età, maschio giovane adulto, non è scontato che predica, in maniera indipendente, la possibilità di sviluppare il diabete di tipo 2.
Con queste premesse sono state combinate le informazioni: età, storia familiare, indice di massa corporea (BMI), livello di attività fisica, abitudine al fumo e livelli di trigliceridi nel sangue. È stato osservato, nei 208 casi di diabete riscontrati, un aumento progressivo del rischio di sviluppare la malattia già a livelli ematici di glucosio di 87 mg per decilitro. Per altro tutti i soggetti avevano al basale (cioè all’inizio dello studio) livelli di glucosio inferiori a 100 mg per decilitro. Se poi si combinavano i valori dei trigliceridi, ne emergeva che con 150 mg per decilitro o più e glicemia a digiuno da 91 a 99 mg per decilitro, il rischio relativo era di 8,23 rispetto agli uomini con valori lipidici inferiori e glicemia al di sotto degli 86 mg per decilitro. Il rischio diabete si evidenziava anche prendendo in considerazione l’indice di massa corporea: se arrivava o superava il valore 30 nello stesso intervallo di glicemia, il rischio relativo era 8,29 rispetto a un BMI inferiore a 25 con glicemia sotto 86 mg per decilitro.
È evidente, quindi, che anche in un intervallo di normalità del glucosio plasmatico (al di sotto di 100 mg per decilitro) i valori che si spostano verso il limite più alto rappresentano un fattore di rischio indipendente di diabete, almeno nel campione considerato dallo studio. Il dato, unitamente all’indice di massa corporea e ai livelli dei trigliceridi, permette di identificare un uomo, apparentemente “a posto”, ma che invece ha un rischio superiore di andare incontro alla malattia.

La complessità aiuta


La complessità delle informazioni necessarie per definire il quadro clinico di un soggetto o l’inquadramento del rischio, non sono sempre a portata di mano del paziente. Perché di fronte all’esisto di un esame, non basta verificare se i valori indicati sono all’interno dell’intervallo di normalità, informazione per altro reperibile ovunque (da internet allo stesso foglio consegnato dal laboratorio di analisi). Possono essere necessarie altre informazioni per definire la normalità prendendo in considerazione altre variabili. Vale a dire che se il valore del glucosio è nella norma ma l’ago della bilancia va ben oltre il proprio peso forma, e il tempo libero lo si passa in poltrona, è un’illusione un po’ ingenua pensarsi al sicuro...val la pena saperne di più.

Simona Zazzetta



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