Più aggressivi col Tipo 2

11 novembre 2005
Aggiornamenti e focus

Più aggressivi col Tipo 2



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Tre milioni lo sanno, un altro milione no. Questa la prevalenza del diabete Tipo 2 in Italia. Non è un dato da prendere alla leggera, ed è il segno che, anche in Italia, questa malattia rischia di divenire una vera e propria epidemia. Si è sempre detto che questa malattia metabolica è figlia del benessere, ma forse sarebbe più giusto dire della società dei consumi. Infatti non è poi così evidente, a pensarci, che obesità e vista sedentaria rappresentino davvero il benessere.La cosa più preoccupante, però, è l'aumento dei casi in giovane età, così come il fatto che un terzo circa dei pazienti in cura, in tutta Europa, non riesca a raggiungere gli obiettivi terapeutici cioè, in sostanza, a mantenere il metabolismo del glucosio in una condizione tale da evitare le complicanze. Questo è uno dei molti elementi emersi nel corso del 41° Congresso dell'EASD (European Association for the Study of Diabetes), cioè l'associazione che raccoglie i diabetologi europei.

Obiettivi più ambiziosi


In questa occasione sono anche stati un po' rivisti questi obiettivi della terapia, che vanno ora nel senso di una maggiore aggressività. Questo significa che la terapia per essere efficace deve ottenere livelli glicemici più bassi che in passato. Per cominciare, la glicemia a digiuno deve essere inferiore a 110 mg/dl, quella post prandiale (misurata dopo un pasto) deve restare al disotto di 145 mg/dl. Un altro indice importante che è stato "ritoccato" è l'emoglobina glicata, cioè la percentuale di emoglobina che è stata alterata a causa dell'elevato livello di zucchero nel sangue. Questo parametro, in pratica, rende l'idea di quanto è stato efficace il controllo della glicemia nel tempo; ebbene, mentre in precedenza si puntava a un valore del 7,5% oggi l'obiettivo è il 6,5%. Gli studi, infatti, dimostrano che per ogni punto percentuale in meno le complicanze microvascolari del diabete si riducono del 37%. Un'altra conferma che viene dal congresso è che il controllo della glicemia in sé è molto ma non è tutto. Chi soffre di diabete tipo 2 va seguito attentamente anche per quanto riguarda la pressione arteriosa, che deve restare al di sotto di 130/80 mm/hg, e i livelli lipemici, cioè colesterolo e trigliceridi. Il valore del colesterolo LDL (quello cattivo) non deve superare i 95 mg/dl mentre quello HDL (che ha un significato positivo) deve essere superiore a 39 mg/dl; infine, i trigliceridi non devono superare i 200 mg/dl.

Serve controllarsi da sé


Tutte le esperienze, poi, confermano il ruolo fondamentale dell'autocontrollo del paziente che viene trattato con insulina (i casi più gravi), mentre per quanti sono in cura con ipoglicemizzanti orali la questione è più aperta. In effetti le linee guida tendono a raccomandarlo soprattutto alle persone che sono inclini a esagerare con la dieta e che, quindi, possono rischiare l'ipoglicemia, oppure che hanno abitudini alimentari e stile di vita che rendono più difficile seguire le indicazioni dietetiche e di attività fisica. Per realizzare l'auto-monitoraggio i vari glucometri in commercio vanno senz'altro bene anche se è ovvio che il medico dovrà spiegare non soltanto come si usano ma anche come comportarsi di fronte a valori fuori dalla norma (troppo alti o troppo bassi). Non viene invece ritenuto utile il controllo della glicosura (cioè del livello di glucosio nelle urine) che si effettua mediante le strisce reattive. Infatti le urine risultano positive solo in presenza di valori di glicemia molto più elevati della soglia raccomandata e, comunque, non consentono di risalire al valore effettivo della glicemia.

Gianluca Casponi



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