Quando difendere il cuore nel diabetico

07 luglio 2006
Aggiornamenti e focus

Quando difendere il cuore nel diabetico



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Il diabete, essenzialmente il tipo 2 che si lega a dieta sbilanciata e sedentarietà con relativo aumento di peso, è in continuo aumento in tutti i paesi occidentali (cresce anche negli altri), ma molte persone non sanno neanche di esserne affette per cui arrivano tardi alla diagnosi rendendo più arduo prevenire le complicanze; molti poi ignorano che il rischio maggiore è quello cardiovascolare: la frequenza di malattie cardiache e ictus, e relativa mortalità, è da 2 a 4 volte più elevata nei diabetici. La probabilità di eventi cardiovascolari dipende da vari fattori e oggi esistono carte di stratificazione del rischio nel tempo in base a vari parametri, compresa la presenza di diabete, che tengono conto di età e sesso, eventuali ipertensione e obesità, eccessi di glicemia e colesterolemia, fumo e sedentarietà, che sono importanti per mirare le singole strategie di prevenzione stabilendo quando, come e quanto intensivamente intervenire.

Pianificare tempi e modi d’intervento


Il rischio cardiovascolare, si sa, aumenta con gli anni del paziente diabetico, tanto che in una persona di mezz’età non cardiopatica si è arrivati a considerare la malattia di tipo 2 come un equivalente di coronaropatia, cioè la probabilità di quest’ultima sarebbe simile a quella di un non diabetico che ha già avuto attacchi cardiaci. Per questo nei diabetici si è giunti a raccomandare, a seconda dei casi e sempre in aggiunta alle modifiche dello stile di vita, la cardioprotezione con farmaci come antipertensivi e ipolipemizzanti, ma più complesso è stabilire l’età più opportuna per instaurare la terapia, che è come dire quella in cui il rischio aumenta al punto da giustificarla. Ha approfondito questo aspetto una studio retrospettivo di coorte condotto tra abitanti dell’Ontario, in Canada, maschi e femmine oltre i vent’anni con diabete mellito (379 mila pazienti) o senza (oltre nove milioni di persone), per i quali si è analizzata l’incidenza nei sei anni di follow-up di cardiopatia, di eventi cardio e cerebrovascolari e la relativa mortalità, in relazione all’età ed eventuale precedente cardiopatia. La soglia di rischio cardiovascolare elevato, secondo le linee guida internazionali, era un tasso di eventi fatali e non fatali del 20% o più entro dieci anni, o equivalente a quello associato a un precedente infarto (IMA). Nello studio non si è fatta distinzione tra diabete tipo 1 e 2.

Il pericolo anticipato di 15 anni


Come prevedibile l’incidenza degli eventi è risultata aumentare con l’età ma si è quantificato che nei soggetti diabetici, sia uomini che donne, il passaggio alla categoria di alto rischio cardiovascolare avveniva mediamente 15 anni prima che nei non diabetici, come dire che la malattia “invecchiava” cuore e arterie di tre lustri. La probabilità di eventi CV nei giovani adulti con diabete era molto più alta che in quelli senza malattia di pari età, specie se c’erano fattori predisponenti come quelli genetici o come il fumo intensivo, ma comunque il loro tasso era inferiore a quello identificabile con alto rischio. In presenza di diabete la transizione da un rischio cardiovascolare moderato a uno elevato avveniva mediamente a 48 anni per i maschi e a 54 per le femmine, che diventavano 41 e 48 seguendo la definizione più ampia comprendente i casi di necessità di rivascolarizzazione coronarica o carotidea. La probabilità di IMA e mortalità per tutte le cause aggiustata per età negli uomini e nelle donne con diabete si è confermata 2-4 volte più alta che in quelli senza o con recente IMA, ma solo oltre i 50 anni la mortalità era più alta per i diabetici che per i soggetti con recente IMA. Infine, il rischio cardiovascolare nel sesso maschile era maggiore che in quello femminile ma in quest’ultimo la presenza di diabete riduceva notevolmente (non fino ad annullarlo) il vantaggio cardioprotettivo su base ormonale prima della menopausa.

Strategie individuali di prevenzione

Si può concludere che per il rischio CV la presenza del diabete e l’età del paziente contano, ma molto dipende dal peso di altri fattori predisponenti. Nei diabetici dalla mezza età in su sono comunque giustificate strategie aggressive di riduzione del rischio, mentre in quelli più giovani questo è meno chiaro, ciò significa che gli approcci vanno molto individualizzati. In ogni caso, diabetici o non diabetici, non esiste una soglia di età per la prevenzione cardiovascolare che va fatta sempre, fino dall’infanzia, attraverso comportamenti “virtuosi”: dalla dieta povera di calorie e grassi e ricca di vegetali, alla messa al bando del fumo e misura con l’alcol, all’attività fisica quotidiana o più volte alla settimana (anche con il diabete: ci sono atleti e campioni nonostante la malattia).

Elettra Vecchia



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