Se il virus non è solo

23 aprile 2004
Aggiornamenti e focus

Se il virus non è solo



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In Italia un sieropositivo su due è affetto anche da epatite C: ben 60 mila persone su 120 mila con HIV stimate. La mortalità per malattie epatiche è aumentata di 10 volte negli ultimi anni, tanto da diventare la principale causa di decessi tra i pazienti con HIV. L'allarme è stato espresso al 39° Congresso dell'EASL (European Association for the Study of the Liver), l'appuntamento annuale che riunisce i maggiori esperti internazionali dell'epatologia ed è condiviso dagli esperti italiani. Raffaele Bruno, infettivologo del Policlinico San Matteo di Pavia, ha dichiarato come ormai si debba parlare di un problema di sanità pubblica, visto che la coinfezione accelera la storia naturale della malattia epatica da Epatite C (HCV). E non a caso la cirrosi sta diventando una delle principali cause di morte nei pazienti sieropositivi. Ma perché si verifica la coinfezione?

Uno scenario in evoluzione


Fino a pochi anni fa l'aspettativa di vita dei pazienti malati di AIDS era molto limitata. Con l'avvento della terapia antiretrovirale, però, la maggior parte delle persone con infezione da HIV ha una maggiore aspettativa di vita, una più lunga sopravvivenza nella fase cosiddetta asintomatica dell'infezione, vale a dire prima che sopraggiungano le infezioni opportunistiche, ha una minore probabilità di ammalarsi e una migliore qualità di vita. Cambiato lo scenario assumono importanza patologie concomitanti all'infezione da HIV per anni considerate il male minore. Tra queste giocano un ruolo di fondamentale importanza le epatiti. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra le due malattie, che si trasmettono allo stesso modo, in particolare tra i consumatori di sostanze stupefacenti. Diversi studi condotti in epoca precedente all'introduzione degli antiretrovirale hanno dimostrato che, mentre il decorso dell'infezione da HIV nelle persone con coinfezione non cambia, il decorso dell'epatite C solitamente è più rapido nelle persone sieropositive. Un'alta carica virale dell'HIV, come un basso numero di CD4, sembrano influenzare la carica virale dell'HCV, aumentandone il valore. In molti casi di pazienti con coinfezione HIV/HCV sono consigliate le vaccinazioni contro l'epatite A e B, qualora questi pazienti non risultino già immuni. La ragione è che un'epatite acuta (A o B) può peggiorare in modo severo il decorso dell'epatite C fino a risultare in alcuni casi fatale.

Rischiose gravidanze


Il rischio di trasmissione materno-fetale è particolarmente significativo. Se, infatti, il rischio di trasmissione neonatale dell'HCV è intorno al 5% può aumentare fino al 25% se la madre è affetta anche da infezione da HIV. Come per l'infezione da HIV, tutti i figli nati da madri HCV positive risultano positivi ai test anticorpali alla nascita, per la presenza nel loro sangue degli anticorpi materni che attraversano la placenta; solitamente questi anticorpi scompaiono nei primi 18 mesi di vita se il bambino non ha contratto l'infezione. Ma la trasmissione verticale dell'HIV, nella coinfezione, si può evitare con metodi come il parto cesareo elettivo (ossia programmato prima che inizi il travaglio) e l'allattamento artificiale, raccomandabili anche per prevenire la trasmissione dell'HCV.

Nuove terapie in arrivo

Sebbene vi siano diversi dati che dimostrano che le persone con infezione da HCV corrono maggiori rischi di alterazione delle funzioni epatiche a causa della terapia antiretrovirale, la maggior parte dei clinici concorda sul fatto che in caso di coinfezione sia possibile trattare contemporaneamente entrambe le infezioni. Vari protocolli clinici sul trattamento dell'epatite C, che prevedono l'arruolamento delle persone sieropositive sono partiti anche in Italia. Tra questi lo studio internazionale APRICOT, ultima prospettiva in campo terapeutico, in cui è stata testata la somministrazione di peg-interferone e ribavirina, dosati in base al peso corporeo dei malati. A conferma del successo di questa via terapeutica i risultati, presentati a Berlino nel corso del convegno Easl, parlano chiaro. La ricerca ha coinvolto 868 pazienti in 19 paesi per 48 settimane. E l'Italia ha dato un grande contributo, arruolando ben 195 pazienti in 7 centri di sperimentazione. Il 40% dei pazienti ha fatto registrare la scomparsa del virus dell'epatite C dal sangue dopo una terapia a base di peg-interferone alfa 2a e ribavirina. Nei casi di persone infettate da un particolare genotipo, 2 o 3, la percentuale è salita addirittura al 62%. I migliori risultati mai registrati in uno studio internazionale, che aprono la speranza di guarire dall'epatite, nel caso di coinfezione, in soli 6 mesi.

Marco Malagutti



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