Il trucco che blocca l'HIV

26 luglio 2006
Aggiornamenti e focus

Il trucco che blocca l'HIV



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La terapia dell'Aids da sempre si presenta particolarmente complicata. Per cominciare l'eradicazione del virus non è ottenibile con i farmaci attualmente disponibili. In più spesso gli stessi farmaci provocano effetti collaterali inattesi e non ancora compresi nella loro patenogenesi. Si capisce bene, perciò, come ogni progresso in quest'ambito sia accolto con grandi speranze. E' il caso di una nuova linea di ricerca della facoltà di Fisica dell'Università di Milano. L'idea, che mira all'inibizione del ripiegamento della proteasi di Hiv-1, enzima centrale nel ciclo vitale del virus dell'Aids, è stata presentata al Convegno della Società italiana di Fisica, svoltosi a Varenna sul Lago di Como. Per capirne di più ne abbiamo parlato con Ricardo Broglia, responsabile del gruppo di ricerca milanese.

La fisica e l'Hiv


Per cominciare come nasce il vostro studio? "Il nostro" risponde Broglia "è un gruppo di ricerca della Statale di Milano. Si tratta di un gruppo interdisciplinare comprendente sia fisici degli aggregati nucleari sia delle proteine. Lo studio verte, in particolare, sul ripiegamento dell'Hiv proteasi". L'enzima in questione è un enzima necessario per la replicazione del virus Hiv ed è uno degli obiettivi più sfruttati dai farmaci contro il virus. Ma un problema piuttosto comune è la resistenza al farmaco che si innesta dopo 6/8 mesi dall'inizio del trattamento farmacologico. Il problema è che il virus è in grado di mutare molto velocemente gli aminoacidi della proteasi e diminuisce così l'affinità tra enzima e farmaco. Come avete cercato di ovviare a questo problema? "Lo studio riguarda il ripiegamento delle proteine, un processo indispensabile perché una catena di aminoacidi si attivi in tempi brevi", spiega Broglia. "L'idea è stata così quella di cercare di impedire alle proteine virali di ripiegarsi, aprendo così la strada alla possibilità di lottare contro molte malattie e senza creare resistenza". Ma come? "Il lavoro fatto nel corso di questi anni è stato mirato a capire come l'informazione è contenuta nella sequenza aminioacidica, come viene tradotta e come si realizza il ripiegamento delle proteine. Per capirlo abbiamo lavorato su modelli molecolari e abbiamo capito che il ripiegamento delle proteine avviene in modo gerarchico: prima si strutturano alcune regioni fortemente interagenti, poi queste regioni si assemblano insieme, riducendo la libertà conformazionale della catena e questo permette al resto degli aminoacidi di raggiungere rapidamente la loro posizione nativa". Ma quali sono queste regioni chiave? "Sono alcune regioni specifiche distribuite casualmente nella sequenza e coinvolgono pochi aminoacidi. L'idea è quella di usare peptidi con sequenze complementari per destabilizzare lo stato nativo della proteasi stessa. Una volta capito come si ripiega, infatti, si sa come bloccarla. E la proteina che non si ripiega non svolge più la sua azione biologica". In questo modo si crea un antidoto alla resistenza? "Si" risponde il fisico. Il virus, infatti, non è in grado di sviluppare una resistenza alla cura: perciò non muta più, perché non riconosce il nemico, ormai integrato". E quali sono le prospettive future? "Intanto" spiega Broglia, "lo studio è così promettente che sono già stati richiesti due brevetti, uno all'Ufficio europeo per il metodo generale e uno a quello americano per l'applicazione nell'Aids. Un segnale chiaro di originalità della ricerca. Ma per ora è tutto teorico o in vitro. Ai tempi della ricerca non si può comandare. Potrebbero anche insorgere problemi e in ragione di questo preferisco essere prudente".

Marco Malagutti



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