Britannici allergici all'omeopatia

21 novembre 2007
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Britannici allergici all'omeopatia



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Ci sono paesi in cui si vorrebbe introdurre l'omeopatia tra le prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale, ve ne sono altri in cui l'omeopatia è rimborsata in funzione della cassa malattia cui si è iscritti (come la Svizzera) e ve n'è uno in cui i rimedi omeopatici sono forniti da sempre nell'ambito dell'assistenza pubblica. Si tratta della Gran Bretagna, dove questa medicina complementare è offerta "gratis" dal 1948, anno in cui nacque il National Health Service. In Gran Bretagna esistono anche cinque ospedali omeopatici integrati nel servizio sanitario, che trattano circa 13000 pazienti l'anno, ed esistono facoltà mediche in cui si prevede questo insegnamento. Però, anche lì questa medicina complementare, ma forse sarebbe il caso di dire alternativa, è oggetto di forti critiche, e molti cominciano a chiedersi se sia il caso di investire le risorse dell'NHS per cure discutibili. Come racconta un articolo di Lancet, a suscitare l'ultima polemica, in ordine di tempo, è stato l'annuncio di un simposio, il 1° dicembre a Londra, sul ruolo dell'omeopatia nel trattamento dell'HIV/AIDS. Gli organizzatori, la Society of Homeopaths, la maggiore d'Europa, hanno anticipato che verranno illustrati differenti approcci e metodi che paiono avere un qualche successo nell'alleviare la sintomatologia dell'infezione da HIV".

Pretese eccessive


La cautela nell'annuncio c'era, ma la malattia è una di quelle su cui non si scherza. Il commento unanime degli avversari della disciplina è stato che gli omeopati "cominciano a prendersi troppo sul serio". Ed è stato citato un altro caso, cioè l'indagine condotta nel 2006 dall'associazione Sense About Science, che ha contattato le prime dieci cliniche e farmacie omeopatiche rintracciate attraverso una ricerca in Internet. Ne è emerso che erano inclini a prescrivere rimedi omeopatici anche per prevenire malattie tropicali quali malaria, febbre tifoide, dengue e febbre gialla. "Proporre affermazioni false a proposito della cura del raffreddore è un conto, ma è cosa ben diversa farlo a proposito della malaria" ha detto il farmacologo David Colquhoun, dello University College di Londra.Insomma è da tempo che buona parte della comunità medica insiste sul tema: non si finanziano trattamenti non provati. E qualche risultato lo hanno ottenuto: tanto che in settembre, la West Kent Primary Care Trust (cioè l'equivalente di una ASL italiana) ha deciso di non rimborsare più queste cure e il suo direttore ha dichiarato che essendo compito della PCT spendere al meglio il denaro dei contribuenti, acquistando trattamenti costo-efficaci e l'omeopatia non può vantare riscontri adeguati. Allo stesso modo, una delle istituzioni omeopatiche più gloriose, il Royal London Homoeopathic Hospital ha visto calare a ottobre le prestazioni erogate del 20%, segno che l'esempio del West Kent è stato seguito. L'articolo di Lancet riporta poi altre critiche, come quelle sulla formazione, che speso viene affiancata a quella tradizionale, ragion per cui, la mattina lo studente apprende che l'effetto cresce con la dose e, alla successiva lezione di omeopatia, apprende che è vero il contrario, cioè che cresce quanto più il farmaco è diluito.
La replica degli omeopati, che certo non è mancata, è che, pur essendo vero che non vi sono molti studi a supporto, la miglior difesa della disciplina viene dalla soddisfazione dei pazienti stessi; in effetti, le indagini segnalano che il 14,5% dei cittadini britannici ha fiducia nell'omeopatia. "Forse anche perché la confondono con la fitoterapia" dice uno dei critici più assidui, Michael Baum, professore emerito di chirurgia allo University College di Londra "che ha quantomeno una plausibilità scientifica". Alla fiducia di una parte del pubblico, è chiaro, si accompagna anche un fatturato che, secondo la società di ricerche di mercato Mintel è pari a 38 milioni di sterline (53 milioni di euro), e dovrebbe raggiungere i 46 milioni nel 2012.

L'eccezione dei prodotti da banco


Però l'omeopatia, in Gran Bretagna, ha avuto anche qualche supporto inaspettato, come quello della Medicines and Health Regulatory Agency, l'equivalente dell'Agenzia del farmaco italiana, che approva la messa in commercio dei farmaci. L'ente ha infatti approvato una serie di farmaci da banco omeopatici, permettendo l'indicazione dei disturbi per i quali sono indicati. Però, a differenza dei farmaci tradizionali, i produttori non devono provare l'efficacia, ma solo l'innocuità, indicando quali condizioni ne giovano secondo la tradizione. Un po' poco, in effetti, rispetto a quanto si chiede anche a una banale formulazione di un antinfiammatorio in commercio da anni. Insomma, due pesi e due misure. Gli avversari dell'omeopatia contano oggi sul NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence), l'ente indipendente che valuta il rapporto costo-beneficio dei trattamenti approvati e che, alla fine, decide del rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. Di solito il NICE dà bacchettate a destra e a manca, come hanno sperimentato molte (si potrebbe dire tutte) grandi multinazionali del farmaco. Ma per ora non ci sono stati pronunciamenti, anche perché la sollecitazione dovrebbe venire dal Ministero della salute. Il Ministero ha risposto a Lancet che il NICE indica già eventuali rimedi complementari nell'elaborare le linee guida qualora sia di una qualche utilità e che nessuna delle linee guida approvate raccomanda o anche solo considera l'uso dell'omeopatia. Però questo forse non è sufficiente e il tema andrebbe affrontato direttamente.

Maurizio Imperiali



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