Insetticidi per neuroni

24 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Insetticidi per neuroni



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Nelle malattie neurodegenerative, a cominciare dall'Alzheimer, si è spesso preso in considerazione il fattore ambientale. Sia in senso ampio, inteso anche come educazione e scolarità, mansioni e stile di vita, sia in senso stretto, come presenza nell'ambiente di sostanze in qualche modo collegabili all'insorgere della malattia. Lo stesso vale per il Parkinson e con una interessante convergenza su quali sostanze siano probabilmente implicate. Infatti, uno dei più noti studi sul rapporto tra Alzheimer e ambiente, che riguardava la comunità giapponese negli Stati Uniti, aveva portato a concludere che l'aumento di casi rispetto ai giapponesi della madrepatria si concentrava nelle persone che avevano a che fare con i pesticidi. Sul ruolo di queste sostanze anche nello sviluppo del Parkinson si sono svolte diverse indagini e l'ultima in ordine di tempo, uno studio caso-controllo famigliare, ha messo a disposizione qualche dato in più. I ricercatori hanno coinvolto più di 300 pazienti selezionati Duke University Medical Center, identificando, a costoro è stato chiesto di chiedere di partecipare all'indagine ai loro parenti, che fossero o meno affetti dalla stessa malattia. Identificato così il campione, si è provveduto a valutare nei malati e nei sani la presenza o meno di certi fatti. Il primo l'esposizione diretta ai pesticidi, cioè l'uso in prima persona sia lavorativo sia hobbistico, cioè, per fare due esempi semplici, se lo avevano sparso nei loro campi col trattore oppure se li avevano usati nel giardino di casa. Ovviamente si chiedeva se questa esposizione si era verificata in giovane età o da adulti, se era stata sporadica o regolare e di quali prodotti si trattava. Inoltre si cercava di stabilire se vivere in una fattoria o bere acqua proveniente dai pozzi anziché dagli acquedotti poteva avere un rapporto con la malattia, nel presupposto che in una fattoria è più plausibile una presenza diffusa di pesticidi, anche se così non dovrebbe essere, e che l'acqua di pozzo è più esposta all'inquinamento da parte delle sostanze impiegate nei campi. L'analisi è stata anche distinta in funzione della presenza o meno di altri casi tra i consanguinei dei malati, in modo da poter distinguere l'effetto della genetica e dell'ambiente.

Soprattutto i casi senza precedenti


I risultati sono abbastanza netti: la consuetudine all'uso dei pesticidi può aumentare le possibilità di sviluppo della malattia fino al 61% in più. Inoltre, l'esposizione esplica il suo effetto indipendentemente dal fatto che i partecipanti riportassero di impiegare o meno indumenti protettivi. Non c'erano differenze tra i due sessi, anche se le donne colpite da Parkinson erano in netta minoranza. Inoltre, ed è importante, l'effetto era dose dipendente: cioè si riscontravano più casi nel gruppo che aveva avuto la maggiore esposizione. Peccato che il questionario impiegato non permettesse di distinguere tra l'uso lavorativo e quello per così dire domestico. Un altro aspetto importante è che l'esposizione ai pesticidi esercita il suo effetto soprattutto quando non vi è famigliarità e, quindi, in teoria, quando non vi è una probabile causa genetica. Certo questo non esclude che vi possa essere un'interazione tra i due fattori, ma il gruppo dei pazienti con casi tra i consanguinei non era sufficientemente ampio da permettere conclusioni al riguardo. Non hanno invece mostrato un effetto significativo il fatto di vivere in una fattoria o di aver bevuto acqua di pozzo. Infine, sulla base dei prodotti menzionati dal campione si è potuto concludere che le sostanze più spesso implicate sono gli insetticidi, in particolare gli organofosfati, come il DDT, e organocloruri. Se l'epidemiologia non sembra avere dubbi, sono carenti le spiegazioni biologiche dell'eventuale nesso tra pesticidi e Parkinson. Per ora vi sono soltanto ipotesi: la prima è che queste sostanze sono simili ad altre usate sperimentalmente per indurre la malattia nella cavia, che agiscono inibendo alcune funzioni mitocondriali, e il mitocondrio è la struttura deputata alla respirazione della cellula. C'è in alternativa la possibilità che i pesticidi abbiano un'azione pro infiammatoria, sia diretta sia attraverso l'azione su mediatori dell'infiammazione. Lo studio ha i limiti caratteristici di tutte le indagini retrospettive, legate al ricordo di chi risponde, però, visto che non è il solo a mostrare queste conclusioni potrebbe essere venuto il momento di controllare prospetticamente quantomeno chi lavora con i pesticidi.

Maurizio Imperiali



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