Rari ma pericolosi

17 maggio 2006
Aggiornamenti e focus

Rari ma pericolosi



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“Innanzitutto questo nuovo Centro nasce dall’esperienza dell’Istituto Nazionale Tumori ed è una sorta di raccordo, il punto di arrivo e partenza di anni di costante impegno. E’ al servizio del cittadino e gli consentirà di evitare disagi, ritardi, di essere curato a 360 gradi, attorno alla persona ruoteranno gli esperti, i medici e i ricercatori per una cura personalizzata”, con queste parole Emilio Bajetta, Direttore della Struttura Complessa Oncologia 2 dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, ha annunciato a Milano l’attivazione del primo Centro nazionale di riferimento per lo studio e la cura dei tumori neuroendocrini. Si tratta di quelle neoplasie rare, due casi ogni 100mila italiani l’anno, derivanti da cellule neuroendocrine che possono originare a livello di tutti i distretti corporei. Il problema è che queste neoplasie sono, il più delle volte, poco riconosciute e mal curate. Da qui l’importanza di un centro di riferimento sull’argomento.

Nuove conoscenze in oncologia


“I tumori neuroendocrini” ha spiegato Bajetta “sono una patologia rara, poco conosciuta, di difficile approccio diagnostico e terapeutico”. Possono, infatti, aggredire ogni organo o tessuto del corpo umano, colpiscono gli uomini come le donne e aggrediscono sia adulti sia bambini, benché siano più numerose fra gli adulti 40-45enni e gli anziani 70-75enni. Se individuati in tempo e trattati bene questi tumori possono essere guaribili, ma i pazienti sono ancora troppo spesso orfani di cure. La diagnosi precoce riguarda appena il 35-40% dei casi e metà dei malati che approdano all’Int ha ricevuto una diagnosi scorretta, con effetti deleteri sulle future aspettative di vita. Gli obiettivi del neonato centro sono così il miglioramento delle conoscenze scientifiche relative ai tumori neuroendocrini e la progettazione di strategie terapeutiche innovative, adottando criteri multidisciplinari. A coordinare una trentina di oncologi medici e pediatri, chirurghi, anatomo-patologi, radioterapisti, riabilitatori ed esperti in medicina nucleare e diagnostica per immagini, sarà lo stesso Bajetta, che ha sottolineato come “gli specialisti esistono già e sono già attivi, e da oggi lavoreranno coordinati in rete”. A partire da questa organizzazione poi si potrà creare un modello “esportabile” anche su altre neoplasie. Un esempio? “Sicuramente il tumore al rene” spiega Bajetta “l’ottava causa di morte per cancro con 27 mila nuovi casi e 14 mila morti l’anno solo in Italia. L’Istituto milanese sta sperimentando due nuove terapie appartenenti alla famiglia delle cosiddette “piccole molecole” e non ancora autorizzate dall’Unione Europea”. Si tratta di sorafenib e sunitib, il primo già approvato negli Stati Uniti, l’altro in via di approvazione, farmaci in grado di raddoppiare la sopravvivenza dei pazienti con neoplasia renale a cellule chiare non più trattabili altrimenti. Non è, peraltro, ancora tempo di annunci clamorosi, che non sarebbero neanche nello stile dell’Istituto nazionale tumori, come sottolinea Bajetta, non senza polemica verso altri prestigiosi centri, ma le prospettive sembrano buone e lo stesso vale anche per il carcinoma della prostata. Anche per questa neoplasia, infatti, la più diffusa nel sesso maschile, si sta considerando la possibilità di una terapia intermittente: un anno o due senza farmaci per poi riprendere la cura, ma passerà almeno un anno prima di poterla tradurre in clinica. “I risultati consolidati, del resto” spiega Bajetta “ spesso richiedono tempi lunghi”.

Marco Malagutti



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