Bollino nero ai farmaci per l'ADHD

14 aprile 2006
Aggiornamenti e focus

Bollino nero ai farmaci per l'ADHD



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L’iter di un farmaco non si ferma alla sua commercializzazione, esiste un dialogo tra le autorità di controllo (FDA in America ed EMEA in Europa) e gli addetti ai lavori che prosegue anche dopo, e si attiva in modo particolare quando si registrano eventi avversi che necessitano di segnalazione. In questi casi intervengono dei comitati, che decidono se ritirare il farmaco o modificare le spiegazioni che lo accompagnano in modo che chiariscano a tutti, pazienti e medici, i rischi che si corrono. Solitamente si materializzano sottoforma di un riquadro nero (black-box, appunto) in cui vengono segnalati gli effetti collaterali più importanti.
Uno degli ultimi casi ha interessato la classe di farmaci usati per trattare la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) sui quali, ora, compare un black-box che avvisa dei rischi cardiovascolari. Il provvedimento interviene sul mercato americano, in Europa, infatti, le diagnosi sono meno comuni e vige una regolamentazione diversa.

La storia si ripete


La decisione è stata presa dal Drug Safety and Risk Management Advisory Committee della FDA, ma era inaspettata. in quanto la FDA aveva solo espresso la raccomandazione di procedere con studi sui rischi cardiovascolari associati all’uso di questi farmaci.
La scelta autonoma è stata votata e approvata insieme alla proposta di fornire al paziente un opuscolo informativo. Una sorta di guida di facile consultazione e scritta in un linguaggio non tecnico che spiega i potenziali rischi del farmaco.
I farmaci chiamati in causa sono le anfetamine e il metilfenidato, della classe delle amine simpaticomimetiche, sostanze che esercitano un potente effetto stimolante su sistema cardiovascolare e sistema nevoso centrale. E non è la prima volta che vengono messe in discussione. Il loro uso in campo medico è limitato, anche se Stati Uniti è molto diffuso l’uso illecito della metanfetamina come droga stimolante, il cosiddetto “speed”.
Alla fine del 2003, per esempio, venne bandita l’efedrina e la pseudoefedrina presenti in moltissimi integratori alimentari adottati nei regimi di controllo del peso. Gli studi pubblicati denunciavano che, nonostante questi prodotti coprissero soltanto l’1% delle vendite degli integratori dietetici, erano responsabili del 64% degli eventi avversi provocati da questi prodotti. Di questi incidenti, il più grave fu il decesso di un giocatore di baseball di 23 anni. Un altro caso in cui si intervenne interessò la fenilpropanolamina (PPA): nel 2005 una nota della FDA chiese di regolamentare i prodotti da banco per il controllo del peso (e anche quelli per decongestionare il nas0). Uno studio aveva riscontrato che c’era un aumento di 16 volte del rischio di ictus nelle donne che usavano PPA per sopprimere l’appetito.
Tuttavia, al di là della cronaca, la letteratura medica riporta quali sono gli effetti delle amine simpaticomimetiche. In studi controllati contro placebo si osservava un aumento della pressione di 5 mm Hg, soprattutto quando la terapia si prolungava, variazioni che erano predittive di incidenti cardiovascolari. Inoltre, nei modelli animali di cardiomiopatie dilatative, la somministrazione di queste sostanze produce un incremento persistente del battito cardiaco che porta a insufficienza cardiaca cronica.

Evitare danni e rischi


La documentazione sugli eventi avversi associati alla terapia dell’ADHD deriva da segnalazioni volontarie riportate in un sistema dell’FDA, Adverse Event Reporting System, AERS. Criticato, per altro, in quanto poco usato: solo una minima percentuale (1-10%) dei casi gravi viene attualmente riportata, con enormi limitazioni della sua potenziale utilità. I casi più gravi, riscontrati tra bambini e adulti in terapia per l’ADHD, erano infarti del miocardio, ictus, aritmie gravi. Risultavano 25 casi di morte improvvisa, in alcuni dei quali l’autopsia aveva messo in evidenza patologie cardiache congenite non diagnosticate, come la cardiomiopatia ostruttiva ipertrofica. Si tratta di condizioni che rendono il paziente molto vulnerabile all’aumento della contrattilità cardiaca provocata dal farmaco.
La decisione del comitato non nega l’utilità del farmaco nel controllo della malattia, ma intende limitarne la somministrazione nella popolazione americana, proprio per evitare di veder ripetere la storia che ha accompagnato l’efedrina e il PPA.

Simona Zazzetta



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