La pillola non è il babau

05 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

La pillola non è il babau



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L'idea di somministrare uno psicofarmaco a un bambino, non entusiasma nessuno, salvo, forse, chi pensa così di prendere una comoda scorciatoia. In effetti, tranne che per casi rari, ricorrere ad antidepressivi o ad altri medicinali, è l'ultima risorsa e in questa accezione, meno male che gli psicofarmaci ci sono. Ma l'idea, in sé, è di quelle che d'acchito suscitano reazioni forti, il che spiega le polemiche suscitate dalla decisione dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) di approvare l'indicazione della fluoxetina per i bambini a partire dagli 8 anni di età affetti da depressione medio-grave.

Difficile la psicoterapia nel Ssn

Molti, per esempio l'onorevole Luca Volontè, avevano osservato che pensare di interrompere la psicoterapia dopo 4 sedute per passare al farmaco fosse assolutamente irrealistico, visto che in quattro sedute o c'è un miracolo oppure poco cambia. "In realtà molte di queste prese di posizione sono dovute a una spiegazione non chiarissima del provvedimento " dice Maurizio Bonati, direttore del Laboratorio di salute materna e infantile dell'Istituto Mario Negri di Milano, uno dei non molti centri di ricerca davvero impegnati per la salute dei bambini. "In effetti, la nota dell'AIFA non dice che dopo quattro sedute si interrompe la psicoterapia se non c'è una, per così dire, guarigione. Dice invece che se nel corso di questo primo periodo non si ottiene una risposta, anche parziale, alla psicoterapia, si può aggiungere il farmaco". Una linea d'azione analoga a quella britannica, dove i servizi di neuropsichiatria infantile sono ben sviluppati. "La vera difficoltà è che oggi in Italia è difficile persino ottenere nel servizio pubblico una sola seduta di psicoterapia". In effetti è ben raro incontrare qualcuno che sia riuscito a ottenere le prestazioni di uno psicoterapeuta (psicologo o psichiatra poco cambia) se non privatamente.

C'è molecola e molecola

Tornando agli antidepressivi in età pediatrica, va detto che molte diffidenze erano state suscitate da una pubblicazione che aveva messo in luce come la somministrazione di queste sostanze potesse provocare comportamenti autolesionistici e persino tentativi di suicidio. "E' vero" risponde Bonati "ma si trattava della paroxetina, peraltro usatissima in Italia proprio nei bambini, non della fluoxetina che a oggi è il farmaco che presenta meno pericoli. E poi è tutto l'impianto del provvedimento che tutela adeguatamente i pazienti. La prescrizione è vincolata all'esistenza di un piano terapeutico, e può essere redatta solo da un neuropsichiatria infantile o da uno psichiatra, in funzione dell'età, inoltre il farmaco, per l'uso nei giovanissimi, può essere prescritto soltanto sulla ricetta regionale, cioè a carico del Servizio sanitario, e questo introduce un ulteriore controllo".
D'altra parte, come ricordano al Mario Negri, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità la depressione nei bambini minori di 14 anni rappresenta la quinta causa di malattia nei giovani europei. In adolescenza il suicidio, spesso legato a un disturbo depressivo, costituisce la seconda causa di morte (anche perché morire di infarto da ragazzini è evento piuttosto improbabile). Si stima, infine, che oltre il 10% dei bambini soffra di disturbi neuropsichiatrici, rappresentati in maggioranza da sindromi depressive (2% nei bambini e 8% negli adolescenti). "Oggi in Italia" conclude Maurizio Bonati "ci sono almeno 30.000 bambini trattati per depressione, e forse anche molti di più, probabilmente trattati in modo non adeguato e questo provvedimento pone semmai delle regole". E comunque, la psicoterapia va proseguita...

Maurizio Imperiali

Fonte
  • Convegno "Bambini e psicofarmaci: tra incertezza scientifica e diritto alla salute", Roma 24 gennaio 2007



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