Il calcio batte in testa

14 aprile 2004
Aggiornamenti e focus

Il calcio batte in testa



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In tempi di sport che fa sempre bene, una notizia controcorrente: la federazione calcistica olandese vieta i colpi di testa ai calciatori in erba, vale a dire al di sotto dei 16 anni. Il divieto vale per gli allenamenti come per le partite, per il timore che le concussioni ripetute determinino danni cerebrali a lungo termine. Non è certo la prima volta che il calcio viene chiamato in causa per queste possibili conseguenze di uno dei gesti atletici più spettacolari ma, finora, nessuno aveva ritenuto che valesse la pena preoccuparsi. Anzi, un divertente editoriale del British Medical Journal aveva in realtà assolto questa pratica. Colpendo il pallone di testa, il cranio subisce al massimo accelerazioni pari a 10 g (cioè 10 volte l'accelerazione della gravità terrestre) contro i 30-40 g necessari allo sviluppo di una vera e propria concussione. Per inciso, faceva notare l'articolo del BMJ, queste accelerazioni si osservano invece comunemente negli scontri tra le teste dei calciatori, ragion per cui del contatto con la palla non ci si dovrebbe preoccupare.

Studi retrospettivi poco rigorosi


Tuttavia resta aperta la questione dei colpi non eccessivamente forti ma ripetuti. Secondo lo studio olandese che ha dato il via alla decisione sono circa 800-1000 in una stagione e a lungo andare non sono esenti da conseguenze sulle facoltà cognitive, in particolare sui più giovani. Anche questo aspetto, però, è tutt'altro che accettato pacificamente. I precedenti studi che avevano in effetti mostrato danni cognitivi nei calciatori alla fine della carriera sono stati spesso bollati di scarso rigore. Per esempio uno studio svedese non prendeva in considerazione lo stato iniziale del campione indagato, né considerava se i singoli avevano subito qualche trauma violento, oppure ancora non teneva conto di altri aspetti che potevano incidere sul declino cognitivo, per esempio l'abuso di alcol, cosa non infrequente tra gli ex sportivi (e nemmeno di altre sostanze, stando alle cronache).

La neuroproteina rivela il danno


Uno studio clinico aveva cercato di vedere chiaro su questo aspetto proprio negli atleti più giovani, servendosi di un marker del danno cerebrale, la neuroproteina S-100b, i cui valori ematici si innalzano quando vi è distruzione dei neuroni. Gli autori dello studio hanno valutato il livello della S-100b in due gruppi di giocatori dilettanti sottoposti a due tipi di allenamento differenti: uno centrato sul gioco di testa e l'altro invece solo con la palla a terra, i dati sono poi stati confrontati con quelli raccolti in 81 pazienti, anch'essi teen-ager, che si sono presentati al pronto soccorso in seguito a un trauma cranico. I risultati sono parsi tranquillizzanti. Infatti se è vero che i livelli della neuroproteina erano più elevati dopo l'allenamento al gioco di testa, l'elevazione rientrava entro sei ore, a indicare che non vi era un danno cerebrale in atto, e comunque i livelli raggiunti erano inferiori a quelli registrati nei pazienti del pronto soccorso cui era stato effettivamente diagnosticato un danno a seguito del trauma.
Insomma sembrerebbe un eccesso di zelo, almeno alla luce delle conoscenze attuali. Sempre secondo l'editoriale del BMJ varrebbe piuttosto la pena di allenarsi a evitare non i colpi di testa ma le testate, magari cercando di sviluppare la capacità di percezione visiva, visto che gli scontri in volo sono frutto di incidenti. Non si pensi però ai caschetti morbidi tipo rugby: dal punto di vista biomeccanico non servono praticamente a nulla.

Davide Minzoni



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