Il peso della mortalità

27 marzo 2009
Aggiornamenti e focus

Il peso della mortalità



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Un peso eccessivo, oltre certi livelli di indice di massa corporea (BMI), si associa a varie condizioni patologiche e diventa un fattore di rischio di mortalità per malattie come quelle cardiovascolari, l'ictus, diversi tumori. E la frequenza di sovrappeso e obesità, si sa, è in preoccupante aumento in molti paesi. Perciò è utile cercare di sapere quanto si rischia, rispetto a quale eccesso di peso, e a quali cause di morte per malattia: l'obiettivo è in fondo sempre quello di scoprire quando e quanto spingere sull'acceleratore della prevenzione. Per approfondire meglio la rilevanza del BMI rispetto alla mortalità causa-specifica, argomento affrontato dalle ricerche, ma sul quale restano ancora alcune incertezze, uno studio collaborativo britannico ha voluto gettare uno sguardo ampio, esaminando 57 studi prospettici relativi a ben 894.576 abitanti in paesi industrializzati, per il 92% europei occidentali, nordamericani, israeliani e australiani e per l'8% giapponesi.

Più bassa per BMI tra 22,5 e 25


Gli autori, della Prospective Studies Collaboration, hanno appunto analizzato un'ampia coorte di persone con stile di vita occidentale (per il 60% uomini), con età media 46 anni e BMI medio 25, considerando oltre a sesso ed età, pressione arteriosa, colesterolemia, fumo, alcol, presenza di diabete e altri parametri. Si è cercata la relazione tra eccesso di peso e cause di morte per malattia, escludendo i primi cinque anni d'osservazioni e focalizzandosi in media su altri otto. La soglia d'obesità è il BMI pari a 30 e nell'analisi si sono esclusi soggetti con valore iniziale inferiore a 15 o superiore a 50, o già con coronaropatia o ictus. Da notare che i BMI statunitensi-australiani sono apparsi mediamente più alti di quelli europei-israeliani e quelli giapponesi più bassi di tutti, e che in entrambi i sessi il BMI iniziale maggiore era tra 50 e 69 anni. Inoltre, i valori di BMI iniziali erano positivamente associati con quelli della pressione arteriosa e per gli obesi associati positivamente con il colesterolo non HDL (quello dannoso) e inversamente con l'HDL; obesità e diabete erano fortemente associati; la prevalenza di fumo e alcol tendeva a essere maggiore nel caso dei BMI più bassi. Ma veniamo alla mortalità: escludendo quasi 16.000 partecipanti deceduti nei primi cinque anni, l'analisi ha considerato gli otto anni successivi identificando quasi 73.000 decessi. Nei due sessi e a ogni età la mortalità per tutte le cause era più bassa per i BMI tra 22,5 e 25 (soglia del sovrappeso); oltre questo intervallo ogni aumento di cinque unità di BMI si associava a un incremento complessivo di mortalità del 30% circa. Questo incremento era dovuto per il 40% a cause vascolari, cioè cardiopatia ischemica (più in età avanzata), ictus (più nella mezza età), insufficienza cardiaca e ipertensione; per il 60-120% a diabete, cause renali ed epatiche; per il 10% a forme tumorali; per il 20% a cause respiratorie, altre cause patologiche specifiche o traumi. La differenza assoluta nella mortalità per BMI di 35-50 rispetto a 22,5-25 era cinque volte più grande per le cause vascolari e tumorali nei maschi e due volte per le stesse cause nelle femmine.

Nel range 30-35 sopravvivenza ridotta


Per valori di BMI inferiori a 22,5-25 c'era la mortalità totale più bassa, ma l'eccesso di mortalità sotto questo range era maggiore tra i fumatori, soprattutto per malattie respiratorie (malattia polmonare ostruttiva cronica, o COPD) e tumore polmonare. Tra 25 e 50 l'effetto di BMI e fumo sembrava additivo, piuttosto che moltiplicativo, sia per la mortalità per cause vascolari che per quella totale. Lo studio per gli autori conferma che, anche se altri parametri come la circonferenza addominale e il rapporto vita/fianchi forniscono informazioni aggiuntive, il BMI è fortemente predittivo della mortalità per malattia al di fuori dell'intervallo ottimale di 22,5-25, e la crescita progressiva da 25 in su è dovuta principalmente a cause vascolari. Per BMI di 30-35 la sopravvivenza mediana si riduce di 2-4 anni, a 40-45 diminuisce di 8-10 anni, un effetto paragonabile a quello prodotto dal fumo. Ridurre il peso in eccesso ha invece molti effetti protettivi, per esempio diminuisce la pressione, la lipidemia, l'accumulo di grassi nel fegato, migliora la sensibilità all'insulina. Si è calcolato che evitando nella mezza età un ulteriore aumento di peso da 28 di BMI a 32 si possono guadagnare circa due anni di aspettativa di vita, evitando in età giovane-adulta un incremento di BMI da 24 a 32 si può allungare la vita di circa tre anni. Questo mentre negli Stati Uniti il BMI medio a 50 anni era 29 nel 2000 e le tendenze non sono meno preoccupanti in Europa.

Elettra Vecchia



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