L'età dei polmoni

12 marzo 2008
Aggiornamenti e focus

L'età dei polmoni



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Un quarto dei fumatori sviluppa broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), che è largamente provocata dal fumo ed è la quarta causa più comune di morte nel mondo. In più in Gran Bretagna la metà del milione e mezzo di pazienti con la malattia non sono diagnosticati. Secondo il NICE britannico lo scarto medio tra il sorgere della malattia e la sua diagnosi è di 20 anni. La spirometria, però, può rilevare tempestivamente il problema attorno ai 35 anni, quando l'età media della diagnosi si aggira sui 55 anni. La diagnosi precoce, oltretutto, con la comunicazione del danno polmonare ai pazienti potrebbe migliorare i programmi di disassuefazione al fumo. Un'ipotesi già fatta in un recente studio osservazionale e che ora un trial più ampio pubblicato sull'edizione on line del British Medical Journal ha provato a confermare. Del resto il concetto di età polmonare esiste da una ventina d'anni sia come modalità per rendere i risultati della spirometria più accessibili sia come strumento psicologico per mostrare ai fumatori l'invecchiamento precoce dei loro polmoni. L'idea cioè è che segnalare ai fumatori la loro situazione polmonare possa indurli a smettere di fumare. Ma è veramente così?

L'importante è la comunicazione


Per verificarlo i ricercatori britannici utilizzando lo spirometro, dispositivo che misura con che velocità e quanta aria una persona può respirare, hanno testato 561, uomini e donne, con un'età media di 53 anni. Una metà di questi pazienti è stata assegnata a ricevere i loro risultati come età polmonare, spiegata con una carta che mettesse in evidenza la capacità polmonare e il suo naturale decrescere con l'età. All'altra metà è stata semplicemente comunicata la quantità di aria in litri che erano in grado di espellere in un secondo, con l'invito a ritornare a distanza di un anno, per vedere se c'era stata qualche variazione nella funzionalità polmonare. A tutti i partecipanti allo studio è stato detto, naturalmente, di smettere di fumare, a questo scopo sono stati avvisati dei programmi governativi per smettere ed è stato ricordato come il test di funzionalità polmonare non rivelasse alcunché su altre serie malattie provocate dal fumo. A dodici mesi di distanza i pazienti sono stati sottoposti al test del monossido di carbonio nel respiro e della cotinina nella saliva, importanti indicatori del vizio. Tra quelli cui non era stata rivelata l'età polmonare il 6,4% non fumava più contro il 13,6% di quelli consci dell'età polmonare. Gary Parkes che ha condotto lo studio, ha sottolineato come all'inizio non ci fossero grosse motivazioni a smettere di fumare, considerando che oltre il 60% dei soggetti esaminati, non ne avesse alcuna intenzione. Va detto che il consiglio del medico curante di smettere determina non più del 4-6% di effetto. Quanto basta per far concludere al responsabile dello studio che "comunicare la funzionalità polmonare in forma di anagrafe del polmone è un ottimo strumento psicologico per aiutare le persone a prendere decisioni per la loro propria salute". E questo non dipende dalla gravità della condizione. Non conta cioè se a un quarantacinquenne viene detto che l'età polmonare è corretta o che ha 65 anni, quello che conta è che il dato venga presentato in modo comprensibile. Se cioè la funzionalità polmonare è normale il fumatore si sente incoraggiato a smettere prima che sia troppo tardi, se invece è anormale è motivato a evitare un ulteriore deterioramento. Ancora sfugge quale sia il meccanismo psicologico alla base di un simile fenomeno, ma l'ipotesi è che un'informazione presentata come prospettiva di un guadagno è più persuasiva di un messaggio negativo su costi e svantaggi. Una prospettiva interessante e sicuramente più economica che non gli altri mezzi attualmente in uso per incoraggiare a smettere di fumare, da quelli farmacologici, agli strumenti di counselling. E' il caso di approfondirla, concludono gli autori.

Marco Malagutti



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