Dopo 30 anni il nuovo volto dell’Aids

10 giugno 2011
Interviste

Dopo 30 anni il nuovo volto dell’Aids



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Era il 5 giugno del 1981 quando uno scarno comunicato di tre pagine sull'Mmwr (morbility and morbidity weekly report) l'opuscolo diffuso dal quartier generale del centro per le malattie degli Stati Uniti di Atlanta, segnalava ai centri sentinella americani alcune inusuali malattie in 5 giovani omosessuali maschi. Risiedevano nelle grandi aree urbane di Los Angeles e di New York e presentavano una polmonite e un raro tumore della pelle. Dopo due mesi i casi da 5 arrivarono a 41. Quelle segnalazioni dei Cdc sono considerate l'inizio ufficiale dell'epidemia di Aids, una malattia che ha cambiato la vita di milioni di persone, che continua a dilagare nel pianeta e che ha mutato la storia della medicina. Secondo l'ultimo rapporto dell'Unaids sono più di 33 milioni le persone che vivono con il virus Hiv. Per capire a distanza di 30 anni come è cambiato il volto della malattia Dica33 ne ha parlato con Mauro Moroni, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'azienda ospedaliera Luigi Sacco di Milano.

Professor Moroni dopo 30 anni a che punto siamo?
Innanzitutto 30 anni non sono passati invano. È stato un periodo di tante luci e tante ombre ma il dato di fatto è che si è passati da una malattia incurabile e distribuita in tutti gli strati sociali al punto più basso di mortalità di sempre raggiunto nel 2009. Un risultato straordinario, soprattutto se si pensa al poco tempo a disposizione.

A chi va il merito?
Alla ricerca che ha impegnato ricercatori, fondi e tecnologie. Mezzi che per malattie del passato non erano disponibili. Va detto che gli importanti risultati raggiunti nella terapia dell'Hiv stanno avendo ricadute anche sulla terapia delle epatiti B e C, per le quali si ha un approccio simile.

Che cosa resta da fare?
Il problema principale resta quello dei paesi in via di sviluppo. Noi, infatti, siamo la parte di mondo privilegiata e anche qui si fa fatica a inserire nei bilanci la terapia per i sieropositivi. Nei paesi poveri la situazione è molto più grave e il generale disimpegno verso il Global Fund (il Fondo Globale per la lotta contro Aids) che oggi è molto meno finanziato, di sicuro non aiuta.

E la situazione delle cure?
Oggi le terapie permettono a pazienti sieropositivi di avere una buona spettanza di vita, ma non di eradicare la malattia. Questo significa assumere farmaci per tutta la vita e spese rilevanti per i servizi sanitari. In Italia la spesa si avvicina ai 30 mila euro l'anno. Un costo importante che viene soltanto dopo quello dei farmaci oncologici. Il passo verso cui si muove la ricerca è percio quello definitivo: eradicazione del virus. Un fatto preoccupante, poi, è che l'infezione ha ripreso a salirre, 5000 nuove ogni anno in Italia. Questo perché l'attenzione ai comportamenti a rischio è scemata. Un problema che non riguarda tanto i tossicodipendenti, che sono ormai una porzione residuale degli individui infetti, quanto la popolazione omosessuale in particolare quella promiscua e gli eterosessuali promiscui. Oltretutto è cambiata molto l'età di riferimento, i primi rapporti sono anticipati e si va oltre i 70 anni. Il dato di fatto è che l'infezione non cessa ed è un'infezione di per sé arrestabilissima. Un altro fatto preoccupante riguarda le persone sieropositive che non sanno di esserlo. E sono molte. In Italia si stimano 40 mila sieropositivi inconsapevoli che però, sono inevitabilmente portatori dell'infezione. Un ultimo dato riguardaala tollerabilità dei farmaci a lungo termine sulla quale ancora non siamo di grado di sbilanciarci. Il fatto assodato è che al momento la tollerabilità al momento è buona. Ma per avere un quadro a 25-30 anni bisogna riparlarne.

Quali strategie bisogna mettere in atto per il futuro?
Innanzitutto bisognerebbe pensare a campagne di informazione mirate ai più esposti come i giovani alle prime esperienze. Si deve tornare all'idea che si può fare tutto ma non senza precauzioni. Ma i soldi sono pochi purtroppo. Dal punto di vista terapeutico si sta studiando l'associazione della terapia con immunostimolanti. Ci sono risultati ma vanno approfonditi e siamo da capo anche la ricerca costa. Poi c'è il discorso del vaccino ma è di là da venire e escludo ci si arrivi ne in tempi brevi ma neanche in tempi medi. Infine c'è una modalità tentata in alcuni quartieri statunitensi di "scovare" i soggetti sieropositivi asintomatici sulla base dei comportamenti a rischio e quindi a prescindere dallo stadio di progressione della malattia, sottoporli prima al test e quindi a sieropositività accertata alla terapia. In questo modo si riduce il virus nello sperma e quindi si riducono le probabilità di contagio. Ma si tratta di una modalità che presenta problemi etici non indifferenti ed è quindi difficile trasporla nella nostra realtà.

Marco Malagutti



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