Tumore prostata, pazienti sotto controllo con la sorveglianza attiva

09 settembre 2011
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Tumore prostata, pazienti sotto controllo con la sorveglianza attiva



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Le opzioni a disposizione degli uomini con un tumore alla prostata localizzato sono diverse e le scelte vanno fatte a partire dal tipo di neoplasia e dal suo stadio di evoluzione, ma non sempre è necessario "fare qualcosa". Se, infatti, il carcinoma è piccolo, localizzato e potenzialmente "indolente", si può optare per un programma di sorveglianza attiva. Una strategia osservazionale attivata in Italia per la prima volta con il Programma Prostata della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori e che sta iniziando a dare conferme importanti, come racconta a Dica33 Riccardo Valdagni, che del Programma è direttore. Ma che cosa si intende per sorveglianza attiva e a chi è rivolta?

«È una strategia osservazionale riservata solo a determinate tipologie di malati con un carcinoma di piccole dimensioni e poco aggressivo. Pazienti, quindi, con diagnosi di tumore alla prostata, con un rischio piuttosto basso che la malattia diventi clinicamente rilevante nel tempo» risponde Valdagni. Ma questa tattica non determina una mancata assistenza al paziente, anzi, «si parla, non a caso di sorveglianza attiva» precisa l'oncologo «il paziente viene sottoposto a sistematici controlli in modo da tenere la malattia sotto stretta osservazione». In pratica il paziente esegue esplorazione rettale e Psa ogni tre mesi e in aggiunta, una biopsia a scadenze prestabilite «al 1° anno, al 4°, al 7° e al 10°» precisa Valdagni. «Se la malattia non cambia il suo comportamento si continua con la sorveglianza attiva, altrimenti il paziente viene indirizzato alle terapie radicali». E qual è l'andamento medio? « Circa i 2/3 dei pazienti rimane in sorveglianza attiva» spiega il direttore del Programma Prostata. «Un terzo dei pazienti, perciò, passa a terapie curative. Il paziente può inoltre uscire dalla sorveglianza attiva quando l'aspettativa di vita si riduce significativamente o, infine, esiste un numero piuttosto esiguo di pazienti che escono dal Programma per una scelta personale». Nel nostro paese sono circa 43mila i nuovi casi di carcinoma alla prostata diagnosticati ogni anno. Di questi, grazie anche alla diagnosi precoce, circa il 40-50% viene diagnosticato in classe di rischio bassa e, di questi il 30-40% è potenzialmente adatto alla sorveglianza attiva. Ma perché ricorrere a questa strategia?

«Per evitare il cosiddetto "over-treatment", sovratrattamento, ossia cure non strettamente necessarie, ci sono pazienti che non hanno una malattia aggressiva, meritevole di trattamento immediato. «Il grande utilizzo del Psa e delle procedure bioptiche» spiega Valdagni «ha portato a scoprire anche tumori di piccole dimensioni, rispetto ai quali i medici hanno cominciato a chiedersi "ma devo trattarli tutti?" "è giusto operarli o irradiarli tutti?" Si è arrivati così alla definizione dei nostri protocolli di sorveglianza attiva». L'Istituto dei tumori milanese è stato il pioniere di questo approccio, iniziato nel marzo 2005 e con oltre 300 pazienti arruolati; dal settembre 2007 partecipa allo studio multicentrico internazionale Prias (Prostate cancer Research International: Active Surveillance) e dal dicembre 2009 è centro di riferimento in Italia di Siuro Prias Ita, con otto urologie che offrono la sorveglianza attiva all'interno della cornice Prias e sotto l'egida della Società italiana di urologia oncologica. Ma non è semplice, come spiega Valdagni «è sicuramente un percorso lungo e con molte difficoltà, anche culturali. Abbiamo introdotto un ribaltamento concettuale importante». Ma i dati parlano chiaro «questo tipo di tumore» osserva il direttore del Programma Prostata «a 20 anni ha un tasso di metastatizzazione <1% e selezionando bene i pazienti si possono evitare trattamenti inutili e gli effetti collaterali conseguenti». A quali si riferisce? «Incontinenza disfunzione erettile per l'intervento chirurgico, sanguinamento rettale e bruciori urinari per radio e brachiterapia» risponde Valdagni. Un ultimo aspetto da non sottovalutare è quello psicologico. Anche se esistono in letteratura pochi studi a riguardo, il carico, in termini di ansia e tensione legato alla convivenza con la malattia è tutto sommato tollerabile, come conferma Valdagni. «Anche la nostra esperienza istituzionale conferma i dati generali dello studio internazionale Prias che segnala l'uscita per ansia dell'1,6% dei pazienti, una cifra veramente esigua. Noi comunque abbiamo un importante staff di psicologi focalizzati sullo studio della qualità di vita dei pazienti in sorveglianza. Il loro ruolo è prezioso sia per la raccolta dati sulla qualità di vita sia per supportare quei pazienti che sono preoccupati o ansiosi per il decorso della malattia. I risultati per ora sono buoni: la maggior parte dei pazienti raccontano di mantenere una qualità di vita ottimale» conclude il direttore del Programma Prostata.

Per ulteriori approfondimenti è stata realizzata una pubblicazione "Il tumore della prostata", grazie alla collaborazione fra Europa Uomo Italia Onlus e ProAdamo Fondazione Onlus (Progetti di ricerca scientifica e clinica per il tumore della prostata).

Marco Malagutti



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