Leucemia mieloide cronica, nuove possibilità terapeutiche: intervista a Gianantonio Rosti

07 giugno 2021
Interviste, Speciale Leucemia

Leucemia mieloide cronica, nuove possibilità terapeutiche: intervista a Gianantonio Rosti



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A seguito dei risultati dello studio OPTIC presentati ad Asco 2021, l'ematologo Gianantonio Rosti, spiega a Dica33 efficacia e sicurezza del Ponatinib, per il trattamento della leucemia mieloide cronica, in fase cronica.

La leucemia mieloide cronica è una leucemia rara, una emopatia maligna che colpisce ogni anno circa 1-2 persone ogni 100.000 abitanti, che significa tra le 1200 e le 1500 nuove diagnosi ogni anno in Italia. Un nuovo studio su un farmaco la cui efficacia è conosciuta da qualche anno ha portato nuove possibilità di cura per i pazienti ancora in fase cronica. Abbiamo chiesto a Gianantonio Rosti, medico dell'Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori "Dino Amadori", Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, di spiegarci come è cambiato il trattamento di questa malattia negli ultimi anni e quali possibilità aprono i risultati del nuovo studio.

La leucemia mieloide cronica


È una malattia conosciuta da molti anni, che negli ultimi due decenni può essere affrontata con terapie importanti. La leucemia mieloide cronica è il risultato di una "mutazione" che si verifica nei precursori primitivi delle cellule mieloidi immature (cellule staminali), che formano i globuli rossi, le piastrine e la gran parte dei globuli bianchi.

«La leucemia mieloide cronica prima delle terapie attualmente in uso era considerata un "killer" perfetto: l'esordio della malattia avviene in una fase cronica, in cui la malattia è relativamente silente, ma con il trascorrere degli anni (da 1 a 8-9, in media 5) progressivamente va incontro ad una accelerazione. In questa nuova fase il paziente comincia a peggiorare, con i valori ematologici che si alterano, e arriva alla fase cosiddetta acuta o blastica che porta velocemente al decesso» ha spiegato Rosti. Obiettivo delle terapie per la leucemia mieloide cronica è quello di tenere la malattia in fase cronica, prima che entri nella fase attiva. «Fino a pochi decenni fa l'unica possibilità terapeutica era il trapianto di midollo osseo da donatore compatibile. Solo una piccola porzione di pazienti beneficiava dell'interferone ricombinante, senza necessità di trapianto» ha sottolineato il dottore.

Nuove possibilità terapeutiche: il Ponatinib


Dalla fine degli anni '90 nuovi farmaci sono entrati nell'armamentario terapeutico per la leucemia mieloide cronica, le molecole della classe degli inibitori delle tirosino-chinasi, «sono farmaci assunti per via orale in grado di colpire un bersaglio selettivo della malattia» ha spiegato Rosti «al contrario della classica chemioterapia che colpisce in maniera indistinta sia il tumore sia i tessuti sani, gli inibitori della tirosina-chinasi vanno a colpire un bersaglio preciso e ben definito, che all'interno delle cellule malate rappresenta il motore principale del tumore. Colpendo questo bersaglio si colpisce la malattia». Questi farmaci hanno cambiato radicalmente in maniera positiva l'evoluzione della malattia: tanto che oggi i pazienti hanno una aspettava di vita simile alla popolazione senza la malattia. Con ottima qualità di vita.

Poi, dal 2012 è entrato in sperimentazione un farmaco che si è rivelato molto precocemente essere il più attivo ed efficace, il Ponatinib, «che è in grado di agire anche quando la malattia ha sviluppato mutazioni aggiuntive resistenti a tutti gli altri farmaci». Il Ponatinib, però è dotato anche di eventi avversi cardiovascolari, molto evidenti quando si utilizzava a lungo la dose di 45 mg al giorno. Fatto che aveva limitato molto il suo impiego su vasta scala.

Lo studio OPTIC: efficacia e sicurezza

Per questo, considerata l'estrema efficacia di questo farmaco, attivo anche a dosi più basse (dosi capaci di mantenere una buona efficacia) è stato condotto lo studio OPTIC, che ha valutato l'efficacia e la tollerabilità di diverse dosi di Ponatinib, confrontando tre dosi iniziali (45 mg, 30 mg, 15 mg). I pazienti che iniziavano a 45 e 30 mg, all'ottenimento di una buona risposta (il Ponatinib è un farmaco ad azione rapida) riducevano la dose sino a 15 mg. L'obiettivo dello studio OPTIC era appunto quello di identificare una strategia di dose in grado di preservare l'efficacia e ridurre i rischi cardiovascolari.

«Questo studio ci dice due cose: prima di tutto che la dose più efficace è quella che parte dai 45 mg, ma anche una dose a 30 mg e conseguente riduzione a 15 mg è estremamente efficace» ha sottolineato Rosti «La dose iniziale di 45 mg è suggerita solo in caso di malattie con elevata resistenza alle terapie precedenti oppure in presenza di una particolare mutazione (definita con la sigla T315) particolarmente difficile da debellare. Grazie a questo risultato, oggi i medici possono scegliere la dose più adatta al proprio paziente in base al profilo di rischio di malattia e cardiovascolare del paziente stesso, e ridurre precocemente la dose di farmaco». Poi ha aggiunto «la seconda conclusione è che con una buona gestione del paziente a rischio cardiovascolare, trattato con le adeguate terapie di prevenzione, i rischi di eventi cardiovascolari si riducono drasticamente». Pertanto, conclude Rosti «il Ponatinib può essere utilizzato con efficacia a sicurezza in molti pazienti che sono resistenti ad almeno due farmaci inibitori tirosin-chinasici, per i quali fino ad ora l'alternativa era solo il trapianto di midollo».

Per chi è approvato Ponatinib

Nell'Unione Europea, Ponatinib è approvato per il trattamento di pazienti adulti con leucemia mieloide cronica (LMC) in fase cronica, accelerata o blastica resistenti a Dasatinib o Nilotinib; intolleranti a Dasatinib o Nilotinib e per i quali il successivo trattamento con Imatinib non è clinicamente appropriato; oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I; o per il trattamento di pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta con cromosoma Philadelphia positivo (LLA Ph+) resistenti a Dasatinib; intolleranti a Dasatinib e per i quali il successivo trattamento con Imatinib non è clinicamente appropriato; oppure nei quali è stata identificata la mutazione T315I.



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