Nuovo test non invasivo

20 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

Nuovo test non invasivo



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Le possibilità di diagnosi prenatale delle malattie legate ad anomalie numeriche dei cromosomi o aneuploidie, come la trisomia 21 o sindrome di Down, sono ormai ampie e basate su metodi sia non invasivi sia invasivi e loro combinazioni. La ricerca di approcci alternativi però continua: infatti i primi, come il quadruplo test o quello della traslucenza nucale, non evitano il ricorso anche agli invasivi e i secondi, quali amniocentesi e prelievo dei villi coriali, mantengono margini di rischio, benché ora molto diminuiti. La disponibilità di nuove opzioni non invasive sarebbe una chanche in più per la diagnosi prenatale, da effettuare nei casi nei quali sia consigliabile, come dopo una certa età materna: anche se di recente il collegio dei ginecologi e ostetrici statunitensi ha sollecitato a considerarla indipendentemente dal fattore età.

Si sfruttano i polimorfismi genici


Un metodo innovativo che analizza il DNA fetale circolante nel sangue materno, messo a punto e sperimentato in America, potrebbe costituire un nuovo concetto di diagnosi prenatale non invasiva delle aneuploidie. L’idea in realtà non è nuova, perché l’analisi delle cellule e del materiale genetico fetale nel plasma della madre ha già trovato impiego nella determinazione del sesso, della positività o negatività per il fattore Rh e di patologie quale la distrofia miotonica. Le possibilità di un uso più ampio apparivano però limitate sia dalla scarsità del DNA fetale libero in circolo (3-4% tra la fine del primo trimestre e l’inizio del secondo), sia dalla difficoltà di distinguere i cromosomi del feto d’interesse diagnostico da quelli della madre. Per determinare il numero dei cromosomi fetali circolanti i ricercatori sono allora ricorsi agli SNP (pronuncia snip), polimorfismi a singolo nucleotide: si tratta di scambi di una delle unità componenti o nucleotidi in una sequenza di DNA, che sono alla base della variabilità genetica individuale. L’approccio si era già usato per individuare la trisomia 21 in campioni di liquido amniotico, ma in questo caso si è elaborata una tecnica originale per impiegarlo in modo non invasivo, utilizzando il sangue materno.

Sensibilità e specificità elevate


Il sistema messo a punto è complesso, ma in sintesi si è quantificato e comparato il rapporto allelico (due alleli o copie di un gene in ogni cromosoma, uno materno e uno paterno) di SNP multipli nel sangue materno per individuare la presenza o l’assenza di aneuploidia fetale. Il campione era costituito da 60 donne di età media 34 anni e con età media gestazionale di 17 settimane. In tre casi si sono identificate differenze significative nei rapporti del DNA fetale per i cromosomi 13 e 21, indicative per la trisomia 21. L’amniocentesi o le analisi neonatali hanno confermato che il numero di copie di cromosomi fetali 13 e 21 era stato identificato correttamente per 58 dei 60 campioni, individuando 56 su 57 casi normali e 2 su 3 casi di trisomia. Sia la sensibilità che la specificità sono risultate elevate, pari rispettivamente al 66,7% e al 95%, con una quota di falsi positivi inferiore al 2% (con gli screening attuali per il Down si riportano sensibilità del 64-69% e falsi positivi intorno al 55%).
L’accuratezza del nuovo sistema, per essere confrontata con quella dei metodi disponibili, dev’essere approfondita attraverso studi numericamente più ampi, per esempio va chiarito il numero ottimale di SNP per identificare le anomalie cromosomiche nel range di concentrazione del DNA fetale libero. Comunque potrebbe diventare un utile complemento alle tecniche di screening attuali e contribuire all’obiettivo futuro di una diagnosi non invasiva delle aneuploidie.

Viviana Zanardi



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