Allarme globale, lotte locali

16 luglio 2004
Aggiornamenti e focus

Allarme globale, lotte locali



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Emergenza. Se si potesse riassumere in una parola il quadro emerso dal XV Congresso mondiale sull'AIDS, svoltosi questa settimana a Bangkok, sarebbe probabilmente questa. Che si parli di nuovi sieropositivi, di accesso ai farmaci, di nuovi target o di sempre più bambini rimasti orfani, la situazione si presenta, comunque, allarmante. Bisogna, perciò, muoversi in fretta per affrontare l'epidemia globale. Anche se poi, come ricorda un editoriale di Lancet, che ha dedicato un numero monografico sull'argomento, l'epidemia non è una sola ma varia da città a città e da villaggio a villaggio. Differenze sottili, magari, ma che richiedono diversi approcci.

Un trend negativo


Attualmente in alcune parti dell'Africa subsahariana gli adulti con infezione da HIV sono il 30% della popolazione. Un record negativo mai raggiunto in precedenza e forse trascurato, come ricorda provocatoriamente un editoriale di Science, perché, riguardando l'Africa, non ha un grande impatto sull'economia mondiale. Gli ultimi numeri presentati dall'OMS non sono granché confortanti. Nel 2002 l'AIDS è stato responsabile di 2,78 milioni di morti, in assoluto si tratta solo del 4,9% di tutti i decessi, ma la prospettiva cambia se si guarda alle cause di morte nella fascia d'età produttiva, quella tra i 15 e i 59 anni, allora l'AIDS passa al primo posto. Dall'inizio della pandemia, l'AIDS ha causato 20 milioni di morti e oggi sono tra i 34 e i 42 milioni le persone che convivono con l'infezione da HIV. Nell'Africa subsahariana l'aspettativa di vita è crollata dai 49,2 anni degli anni '80 ai 46 anni (addirittura 42 nei paesi più a sud), di oggi. Uno sguardo in prospettiva non aiuta visto che si stima che nel 2010 in questa zona del mondo il 25% dei bambini saranno orfani a causa della malattia. Del resto solo nel 2003 c'è stato un record di infezioni: cinque milioni. Di questi, tre vivono nell'Africa Subsahariana e oltre un milione in Asia. E proprio l'Asia che, non a caso, ospita la conferenza, rappresenta la situazione più preoccupante.

Emergenza Asia


Nel continente asiatico, infatti, dove vive il 60% della popolazione mondiale, ben 1,1 milioni di persone sono state infettate lo scorso anno. L'epidemia sta dilagando, specie in paesi come la Cina, dove 10 milioni di persone potrebbero contrarre il virus entro il 2010, l'Indonesia e il Vietnam. E proprio in Cina il premier Wen Jiabao ha finalmente riconosciuto, dopo anni di dinieghi, la minaccia, dichiarando la lotta all'AIDS come una priorità. "L'Asia deve prendere decisioni vitali per la sopravvivenza stessa del continente e prevenire l'esplosione di una catastrofe" - ha dichiarato senza giri di parole il responsabile dell'UNAIDS, Peter Piot. "Nonostante finanziamenti, impegno politico e progressi rilevanti, infatti, l'epidemia continua a correre più veloce della risposta mondiale". A proposito di finanziamenti si è passati dai 300 milioni di dollari del 1996 ai quasi 5 miliardi nel 2003. Abbastanza? Sicuramente un buon segnale, ma ancora la metà dei bisogni per i paesi in via di sviluppo fino al 2005. E non è un caso che il tema scelto per la conferenza di quest'anno sia proprio "accesso per tutti". Molti malati nei paesi del Terzo mondo non possono permettersi nemmeno un dollaro al giorno per pagare le medicine. Per questo Kofi Annan, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha chiesto un fondo speciale per affrontare queste malattie. E pensare che per risolvere il problema basterebbero 11 dollari a testa ogni anno, da parte dei 900 milioni di persone che vivono nei paesi industrializzati. Ma come è destinata a evolversi la situazione?

Non uno ma molti HIV

Dipende da molte variabili - come sottolinea l'editoriale di Lancet - alcune già note altre da scoprire. Il ruolo della biologia è evidente, con certi ceppi e sottotipi virali che si diffonderanno con più facilità di altri e colonizzeranno certe popolazioni piuttosto che altre. Ma anche cultura, politica ed economia modellano l'andamento dell'epidemia. L'andamento dell'economia in Africa e Asia, per esempio, ha determinato grossi flussi umani dalle aree rurali a quelle urbane portando a frammentazione sociale e all'aumento di comportamenti a rischio. Ma il ruolo dei leader politici non va sottovalutato. Vorrà pur dire qualcosa se paesi come l'Uganda, la Thailandia o la Cambogia dove il problema è stato affrontato politicamente le cose sono cambiate e milioni di vite sono state salvate. Definire a livello teorico quali siano i migliori interventi - conclude l'editoriale di Lancet - non è semplice: alcuni possono essere efficaci in un posto e non esserlo in un altro. Sorveglianza, perciò, è la parola chiave. Bisogna monitorare l'evoluzione di ogni singola realtà e l'efficacia degli interventi. Ogni epidemia è una singola battaglia che ciascuna comunità deve vincere all'interno della guerra globale contro il virus. Mentre grandi iniziative globali sono necessarie per raccogliere fondi e sviluppare nuovi farmaci, sono le singole persone sul campo a dover sconfiggere l'epidemia.

Marco Malagutti



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