Divisi sul vaccino in fasce

10 novembre 2006
Aggiornamenti e focus

Divisi sul vaccino in fasce



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Gli americani da diversi anni non hanno più dubbi su chi vaccinare contro l'influenza, altrove qualche esitazione ancora permane. L'orientamento statunitense fino a qualche tempo fa, raccomandava l'uso del vaccino nei bambini, ma solo in quelli che avevano malattie croniche e che potevano essere esposti a un maggior rischio, per esempio di asma, se colpiti dal virus influenzale. Senza togliere rilevanza a questa popolazione di bambini, negli Stati Uniti l'influenza viene comunque considerata una causa importante di morbidità e mortalità al pari della popolazione degli ultrasessantacinquenni. Questa visione, sostenuta da tassi di ospedalizzazione per malattie gravi del 3 per 1000 tra i bambini tra i sei e i 23 mesi, ha spinto nella direzione di allargamento della vaccinazione a questa fascia di età.

Posizioni americane


Già dalla stagione invernale 2004-2005, l'Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) e i Centers for Disease Control, raccomandavano il vaccino influenzale trivalente inattivato (disponibile già dal 1981), in tutti i bambini tra i 6 e i 23 mesi di vita, inclusi anche quelli sani e senza malattie croniche.
La decisione si fondava sull'efficacia e sui vantaggi in termini di salute dei vaccinati e della popolazione che ne beneficiava in quanto si riduceva il serbatoio di virus rappresentato dai soggetti non vaccinati. Ma anche su prove di sicurezza e tollerabilità ampiamente fornite da studi scientifici, ma che per loro natura lasciano sempre la possibilità che qualche effetto collaterale possa comparire, per quanto statisticamente non significativo. La non rilevanza statistica e la non gravità dei sintomi ha orientato la scelta delle autorità statunitensi verso l'estensione alla fascia di età 6-23 mesi.

Casi statisticamente non significativi


Il lavoro più recente, pubblicato da Jama, ha valutato in una coorte di oltre 45 mila bambini di quell'età, immunizzati tra il 1991 e il 2003, qualsiasi evento che ha necessitato di cure mediche in finestre di tempo a rischio nelle prime sei settimane dal vaccino. I risultati parlano di un'associazione molto bassa che rassicura sulla sicurezza del vaccino, quasi tutti casi di vomito o diarrea ma senza la possibilità di dire se fossero una reazione al farmaco. I disturbi che con maggiore probabilità potevano comparire nelle prime due settimane erano gastriti e duodeniti con un rischio relativo cinque volte e mezzo più alto, altre diagnosi erano invece, piuttosto improbabili. Altri casi da segnalare erano l'infiammazione di noduli, localizzati, però, in zone non biologicamente collegate al sito di iniezione, e sette casi di anemia falciforme. Questi ultimi non erano statisticamente significativi ma rappresentano un importante monito ad approfondire gli effetti del farmaco sui bambini con questa malattia.

Sfumature italiane

L'atteggiamento delle autorità e dei pediatri italiani è diverso, o quanto meno diversificata, e sulla fascia di età 6-23 mesi si divide tra chi vuole vaccinare e chi non lo ritiene né opportuno né utile. Il Ministero della salute propende per la restrizione dell'immunizzazione come comunicato in una circolare ministeriale diffusa nella primavera 2006. L'impiego del vaccino antinfluenzale viene raccomandato nei bambini di età superiore ai sei mesi affetti da patologie croniche a carico dell'apparato respiratorio, malattie cardio-circolatorie, malattie metaboliche, malattie infiammatorie croniche o con sistema immunitario compromesso. L'orientamento istituzionale italiano desta le preoccupazione dei sostenitori della vaccinazione anche ai bambini non a rischio, ma dall'altra parte fanno eco coloro che affermano che se un bambino è sano non va vaccinato.
Si è ancora ben lungi dal risolvere il dilemma, anche perché è nella natura di ogni farmaco l'equilibrio tra i rischi e benefici. Negli Stati Uniti il bilancio favorisce i benefici, in Italia non è così per tutti.

Simona Zazzetta



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