Più incertezze che certezze

16 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus

Più incertezze che certezze



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L’influenza aviaria potrà mai costituire un pericolo in Europa? La domanda è legittima dato che i 272 contagi umani e i 166 morti aggiornati al 7 febbraio non l’hanno riguardata (non considerando la Turchia). Un altro interrogativo diffuso è se l’immunità nei confronti dell’influenza stagionale e di conseguenza la protezione offerta dal vaccino possano fare da scudo, almeno parzialmente, anche contro l’infezione trasmessa dagli uccelli. Bisogna considerare che l’influenza umana da una trentina d’anni è causata dai sottotipi virali H1N1 e H3N2, dove H e N sono le due proteine di superficie emoagglutinina e neuraminidasi che ogni anno mutano un po’ (da cui ceppi diversi) e che sono il bersaglio dell’immunorisposta; l’aviaria trasmessa all’uomo è stata invece provocata da un ormai noto ceppo H5N1. La neuraminidasi umana (huN1) è strettamente affine a quella aviaria (avN1), pertanto ci si è domandati se potesse esserci una cross-reattività e tale da proteggere da entrambe le infezioni: in questo caso una pandemia umana potrebbe avere effetti meno gravi per morbilità e mortalità rispetto a quanto stimano le previsioni. Un’ipotesi che ora troverebbe conferma da uno studio relativo all’animale e all’uomo.

Risposta crociata a neuraminidasi diverse


Ricercatori statunitensi hanno vaccinato dei topi con il DNA che codifica per la neuraminidasi di un ceppo influenzale umano con antigeni usati per il vaccino (A/New Caledonia/20/99 H1N1) e osservato la risposta immunitaria sia alla huN1, sia a una avN1 di un ceppo aviario altamente letale isolato da una persona contagiata (A/Vietnam/1203/04 H5N1). Hanno così verificato che il 91% aveva prodotto gli anticorpi contro la huN1 e il 13% anche anche contro l’avN1. Tutti i topi vaccinati sono sopravvissuti all’infezione con un virus influenzale ricombinante con l’huN1, ma anche metà di quelli infettati con basse dosi di virus con l’avN1 dell’infezione; inoltre c’è stata una riduzione della severità dell’infezione, con minore perdita di peso. Un effetto protettivo analogo si è osservata anche quando si è iniettato il siero dei topi vaccinati in altri naive, cioè mai vaccinati.
In una seconda fase dello studio si è verificato se un simile effetto di cross-reattività degli anticorpi anti-neuraminidasi si determinasse nell’uomo. Perciò si sono utilizzati campioni di sangue di 38 volontari sani per analizzare la capacità d’inattivare la neuraminidasi di un ceppo H1N1 (lo stesso di prima) e di due ceppi H5N1 (quello di prima e A/Hong Kong/213/03). Si è così riscontrata un’attività inibitoria contro l’huN1 in 31 casi, ma è interessante che questo sia successo anche in otto e nove casi, rispettivamente, per ciascuna delle avN1.

Esposizione naturale o vaccinazione


Sulla base di queste osservazioni gli autori ipotizzano che gli anticorpi sviluppati contro le huN1 in seguito alla vaccinazione antinfluenzale o a precedente esposizione naturale a virus influenzali H1N1 potrebbero conferire una parziale protezione contro il virus dell’aviaria H5N1. E mostrano che una quota di popolazione, circa il 20%, potrebbe presentare per via di queste due modalità bassi titoli anticorpali anti-huN1 che cross-reagiscono, appunto, con l’avN1. I dati sono tuttavia insufficienti, come si sottolinea in un commento sulla rivista, per dedurre che la popolazione sia protetta dall’aviaria o per raccomandare un’immunoprofilassi antinfluenzale allargata nella convinzione che questo attenui quel rischio; bisogna poi considerare i diversi tipi di vaccino. Insomma le evidenze sono promettenti, ma le conclusioni premature.

Elettra Vecchia



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