L'effetto c'è ma non sempre

30 settembre 2005
Aggiornamenti e focus

L'effetto c'è ma non sempre



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La vaccinazione antinfluenzale è utile, lo dicono un po' tutti gli esperti e tutte le istituzioni sanitarie. Poi può cambiare l'accentazione che si pone su questa necessità: solo le categorie a rischio, tutta la popolazione, i bambini, gli anziani eccetera. Tuttavia, almeno per quanto riguarda gli anziani, gli studi finora condotti non sembrano deporre per una grande efficacia. Questa, almeno, la conclusione di una revisione sistematica delle ricerche pubblicata online da Lancet pochi giorni fa. Lo studio ha raccolto tutti i dati finora disponibili sulla vaccinazione antinfluenzale negli anziani di 65 e più anni. L'analisi è poi stata condotta distinguendo tra due situazioni differenti. Da una parte le ricerche condotte su persone ricoverate in case di riposo e residenze sanitarie, dall'altra quelli che hanno avuto per soggetto gli ultrassesantacinquenni sani che vivono in comunità, cioè a casa propria, soli o in famiglia. La precisazione sani è necessaria, perché dai dati raccolti è evidente che gli anziani delle case di riposo sono molto più anziani, dai 75 anni in su, e proprio sani non paiono, vista l'elevata prevalenza di malattie croniche.

In casa di riposo


Per i nonni ricoverati, il vaccino ha dimostrato di essere efficace nel ridurre le forme influenzali e simili (del 23% in dettaglio) ma non l'influenza vera e propria. Questo, però, nei momenti in cui la circolazione del virus è elevata (periodo di epidemia) e a patto che il vaccino sia adeguato, cioè che sia mirato al virus effettivamente circolante e non si tratti, magari, di quello dell'anno prima. In compenso, sempre in questo strato della popolazione anziana, ha mostrato di poter ridurre sia la comparsa di polmonite (complicanza tipica dell'anziano influenzato) sia la necessità di ricovero, in una misura pari rispettivamente al 46% e al 45%. Inoltre ha ridotto la mortalità dovuta a influenza e polmonite e quella generale (rispettivamente del 42% e del 60%). Insomma, a guardare i risultati molti potranno restare un po' delusi, ma un vantaggio c'è e consistente. Le cose cambiano se si prende in considerazione l'analisi condotta per gli anziani autosufficienti che vivono in comunità. L'efficacia nel prevenire influenza e sindromi influenzali non c'era, o meglio era talmente variabile da uno studio all'altro da far tendere a zero il risultato complessivo. C'era invece una marginale efficacia nel ridurre i ricoveri dovuti a influenza o polmonite (27%), altre affezioni respiratorie (22%) e malattie cardiologiche (24%). Più sostenuta la riduzione della mortalità per tutte le cause (47%).

Studi troppo dissimili


E' chiaro che a questo punto qualcuno si sentirebbe autorizzato a concludere che a poco serve il vaccino, ma le cose non stanno esattamente così. All'origine dei risultati c'è anche il fatto che gli studi sono molto eterogenei fra loro, soprattutto quelli condotti sugli anziani che vivono in comunità, quindi riesce difficile fare un confronto pur con tutti gli strumenti matematici del caso. Difatti, negli studi condotti sui pazienti nelle residenze protette i risultati si sono visti e, questi casi, la popolazione è più omogenea, l'esposizione al virus è grosso modo simile e, in poche parole, le condizioni sono più omogenee. Infatti, due persone sane che vivono in comunità non è detto che abbiano la stesa esposizione al contagio: ci sarà quello che viaggia in metro tutti giorni e quello che invece al massimo va a comprare il giornale a piedi, quello che convive coi nipotini e quello che divide la casa soltanto con il gatto.Detto questo, almeno a guardare il bicchiere mezzo pieno, è provato che è utile vaccinare gli anziani delle case di riposo...

Maurizio Imperiali



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