I parassiti

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

I parassiti



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Con la ripresa delle lezioni torna per i genitori anche "l'incubo parassita" che facilmente può trasmettersi da scolaro a scolaro. Visto che comunque in aula, in palestra e in piscina ci si deve andare, è bene conoscere a fondo questi al fine di prevenire, riconoscere e, eventualmente, intervenire per tempo.

In classe


I pidocchi

Piccolissimi parassiti che, a differenza di quanto si crede, possono colpire tutti e non solo i bambini; colpiscono maggiormente i più piccoli solo perché in età infantile sono maggiori le occasioni di contagio: scuola, palestra, ricreazione ... dove è facile che tra compagni ci si scambi cappellini o sciarpe e si leggano insieme libri o fumetti (il che facilita notevolmente la trasmissione dei pidocchi).

Le specie che possono colpire l'uomo sono tre:

Pidocchio del corpo o dei vestiti (Pediculus humanus corporis) - il più importante delle tre specie, ma ormai scomparso nel nostro Paese dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Questi piccolissimi parassiti sono in grado di albergare e trasmettere la Rickettsia prowazekii (responsabile del tifo e per questo detto anche "petecchiale epidemico") e la Borrelia recurrentis (responsabile della febbre ricorrente). Tra le pagine di guerra o, più facilmente, tra i racconti dei nonni, è infatti possibile leggere o ascoltare cronache di soldati che, a turno, bollivano i propri abiti in grandi taniche d'acqua proprio per eliminare la presenza di questo tipo di pidocchi.

Pidocchio del pube (Pthirus pubis) - meglio noto con il nome di "piattola" (dalla sua forma piatta e sottile), si trasmette in genere per via sessuale, ma le più rare aggressioni ad ascelle e sopracciglia lo rendono un possibile nemico anche dei bambini. Il suo ciclo vitale è di 25 giorni e si completa solo nell'essere umano. Raggiunta la maturità le femmine delle piattole depongono le uova, che si schiudono dopo circa 7 giorni e rimangono attaccate allo stelo del pelo.

Pidocchio della testa (Pediculus humanus capitis) - è questa la specie che più facilmente contagia i bambini a scuola. Secondo recenti dati ISTAT circa il 70% dei casi notificati di pediculosi (termine che indica proprio l'infestazione da pidocchi) riguarda soggetti di età inferiore ai 15 anni. Negli ultimi anni, in particolare, la sua diffusione è andata aumentando a causa della maggior resistenza da parte del parassita ai prodotti comunemente utilizzati per combatterlo, proprio come avviene con virus e batteri nei confronti di antivirali e antibiotici. La necessità di attaccarsi al cuoio capelluto è giustificato dall'habitat di cui necessita il pidocchio e cioè un ambiente caldo (35°- 36°C) e un alto afflusso di sangue umano (di cui si nutre). La sua vita media è breve (circa 2 mesi), ma la rapidità con cui le femmine depongono le uova (4-6 uova al giorno) ne rendono molto rapida la diffusione. Si calcola, infatti, che un pidocchio maturo di sesso femminile durante la sua vita fertile può depositare da 250 a 300 uova. Da qui l'importanza di una rapida e tempestiva diagnosi, per evitare che da poche centinaia di pidocchi si passi velocemente a qualche migliaia di parassiti.

Il sintomo più comune che può indicare un'infestazione da pidocchi è senza dubbio il prurito. In particolare le zone più colpite da questi parassiti sono la nuca e la zona subito dietro le orecchie. E' qui, infatti, che si possono riscontrare le prime lesioni da trattamento, che, a loro volta, possono causare alterazioni cutanee di tipo eczematoso, spesso associate a infezioni batteriche secondarie. Non di rado, infatti, partecipano ai sintomi anche le linfoghiandole della nuca e del collo (adenopatia retroauricolare e adenopatia cervicale posteriore). Sia il prurito, sia le lesioni cutanee sono dovute all'ipersensibilità nei confronti delle feci del pidocchio e agli antigeni presenti nella saliva dell'animaletto, che esso inietta nella cute per riuscire a prelevare il sangue del bambino. I controlli da parte di genitori (a casa) e di medici, infermieri o maestri (nelle scuole) sono importantissimi per una diagnosi tempestiva volta ad evitare rapidi contagi. L'indagine deve avvenire nella seguente maniera: scegliere una zona molto illuminata per facilitare la visione del cuoio capelluto; muovere lentamente i capelli e verificare la presenza di uova (lendini) o pidocchi vivi. Le lendini appaiono come piccoli elementi del diametro di 0,3 x 0,8 mm, di forma ovoidale e di colore bianco-giallastro. Il pidocchio, invece, si presenta come un piccolissimo animaletto (2-4 mm) di forma allungata, di colore bianco-grigiastro, con due antennine sulla testa, un corpo grosso e tozze con 6 gambe dotate di uncino nella parte finale. Non aspetta di vederlo saltare! Al contrario delle più comuni credenze, infatti, il pidocchio si sposta camminando e resta fisso al capello. La prevenzione, come i controlli, devono riguardare sia l'ambiente di casa, sia l'ambiente scolastico. I genitori possono allontanare il rischio pidocchi lavando pettini e spazzole in acqua calda o con prodotti appositi e lavando federe, lenzuola e asciugamani ad alte temperature (i pidocchi e le uova, infatti, non sopravvivono a temperature maggiori di 53,5°C). Non è necessario, invece, disinfestare i mobili e non esistono prove che giustifichino l'uso di insetticidi ambientali per uccidere i pidocchi. Utile può essere l'uso di un comune aspiratore per pulire sedie, divani e poltrone. Dall'altro lato, le strutture scolastiche devono impegnarsi a considerare la pediculosi come una malattia contagiosa a tutti gli effetti, prendendo tutte le dovute precauzioni previste in questi casi e cioè:
  1. informare tempestivamente i genitori sul rischio pediculosi;
  2. ammettere gli alunni in classe solo previa autocertificazione dei genitori di avvenuto trattamento con asportazione di uova e pidocchi o con autocertificazione di assenza di trattamento perché non necessario;
  3. in caso di continue recidive, ammettere il ragazzo in classe solo dopo che i genitori abbiano fatto pervenire alla scuola un certificato medico comprovante l'avvenuta terapia;
  4. la scuola, infine, deve essere predisposta ad incontri di educazione sanitaria per sensibilizzare bambini e genitori sul problema pediculosi.
Il trattamento avviene sempre in due fasi: una per eliminare tutti i pidocchi e tutte le uova, l'altra volta a ripetere il trattamento dopo 10-15 giorni per essere sicuri di uccidere anche le larve che, nel frattempo, sono fuoriuscite dalle uova. La prima fase (quella di attacco) è caratterizzata dall'uso di sostanze farmacologiche (sottoforma di creme, shampoo o gel) o sostanze naturali (come acqua e aceto o creme a base di timo) utili per sciogliere il legame chitinoso tra capello e uovo. Anche i prodotti più forti e mirati, però, non assicurano l'eliminazione di tutte le uova; pertanto si rende necessario una seconda fase in cui ripetere il trattamento per eliminare anche i pidocchi nati da uova rimaste in vita dopo la prima fase di trattamento.

La scabbia

Come i pidocchi, anche l'infestazione cutanea da Sarcoptes scabiei (acaro che provoca la scabbia) può "entrare" nelle classi di scuole e asili, contagiando rapidamente bambini e famigliari. Si tratta di una malattia tra le più pruriginose causata da un acaro, in particolare dalle femmine gravide di Sarcoptes scabiei, che scavano un "tunnel" (detto cunicolo) nello strato corneo (parte superficiale) della cute e vi depositano le uova fecondate. Le larve maturano in pochi giorni e si raggruppano intorno ai follicoli piliferi. Da qui le tipiche "lesioni da scabbia", che di solito (soprattutto nelle forme croniche) sono il risultato di una ipersensibilità dell'ospite verso gli antigeni dell'acaro. Il contagio avviene con il semplice contatto cutaneo, mentre è molto raro il contagio tramite vestiti e biancheria poiché questo tipo di parassita muore in pochi minuti al di fuori del corpo umano.
Il sintomo più evidente, come per la pediculosi, è il prurito, che tende ad aumentare di notte o, comunque, quando si è sdraiati sul letto. Le lesioni da scabbia si distinguono per l'evidenza di un cunicolo della lunghezza variabile da pochi millimetri ad 1 cm, di tipo lineare e munito di una piccola papula alla sua estremità. In genere, le lesioni sono più diffuse negli spazi tra un dito e l'altro di mani e piedi, sulle pieghe flessorie dei polsi, attorno alle ascelle, intorno all'areola mammaria, nella parte interna delle cosce, nella regione inguinale, ombelicale e all'altezza della vita. A differenza degli adulti, nei bambini la scabbia può colpire anche il volto.
La diagnosi non è molto facile, poiché le lesioni della malattia si confondono spesso con le lesioni secondario da trattamento (come eczema, orticaria o sovrainfezioni batteriche secondarie). Per una diagnosi certa è possibile prelevare un campione di parassita su materiale raccolto dai cunicoli e farlo verificare con particolari soluzioni cheratolitiche (come l'olio minerale, potassa caustica o semplice acqua) sottoponendolo al microscopio (verifica rapida e sicura).
La terapia è caratterizzata, principalmente, dall'uso topico di creme o lozioni a base di gamma benzene esacloruro all'1%, con aggiunta di benzil-benzoato al 25% o da applicazioni di crotamiton al 10% sull'intera superficie cutanea dal collo in giù, facendo però attenzione (con l'aiuto di un assistente) di non trascurare nessuna zona! Nei bambini con più di 2 anni, a causa dell'evidenza di alcuni casi di neuro-tossicità acuta legate all'assorbimento di gamma benzene esacloruro, possono anche essere applicati unguenti al 5-10% di zolfo. L'applicazione va ripetuta anche il mattino dopo, ma non oltre, perché un'infiammazione persistente con prurito può causare dermatiti da contatto, infiammazioni batteriche e le successive applicazioni potrebbero aggravare l'irritazione cutanea.

In palestra/piscina


Le verruche

Presenti anche sulle pagine dei libri di scuola (già gli antichi greci e romani, infatti, parlavano di manifestazioni "simili a porri", come emerso da alcuni scritti di Aulo Cornelio Celso nel 30 a.C.), le verruche rappresentano uno dei nemici che può diffondersi molto facilmente tra i bambini che frequentano la stessa palestra o la stessa piscina. Alla base dell'infezione è il virus papilloma, isolato nel 1949 e, dopo qualche anno, identificato come un virus DNA doppiamente intrecciato della famiglia dei Papovavirus. Le più innovative tecniche di laboratorio hanno permesso di identificare ben 50 sottotipi di HPV (Human Papilloma Virus), ma solo alcuni di essi sono responsabili delle lesioni cutanee. Secondo recenti statistiche sembra che a soffrire di verruche sia oltre il 7% della popolazione. La fascia di età in cui si manifestano la maggior parte dei casi è quella che va dai 12 ai 16 anni, con lesioni localizzate soprattutto sulle mani e sulla pianta dei piedi. Naturalmente, però, tutti possono essere a rischio di verruche, soprattutto le persone con un sistema immunitario compromesso (per esempio bambini con dermatite atopica o affetti dal virus HIV).
Il contagio avviene attraverso il contatto con cheratinociti desquamanti, con un periodo di incubazione di circa 1-6 mesi e una latenza sospetta di oltre 3 anni. Il rischio, in pratica, si presenta in caso di contatto diretto con verruche altrui o attraverso le squame della verruca che cadono in zone umide (come piscine, saune o un semplice asciugamano). Perché la trasmissione del virus avvenga, però, è necessario che la pelle del bambino sia abrasa e, quindi, tale da poter essere penetrata dal virus.
I sintomi; in genere le verruche non danno una sintomatologia particolare, a meno che non siano localizzate in zone come piedi o intorno all'inguine (zone molto sensibili). Per diagnosticarle, quindi, è bene riconoscerle il prima possibile. Esse si presentano come delle escrescenze carnose, dure, di natura benigna, che possono colpire sia la mucosa, sia la pelle.

Generalmente colpiscono il dorso delle mani e, soprattutto, la zona intorno alle unghie; possono essere singole o riunite a grappolo.
La terapia; nel 60% circa dei casi le verruche tendono a risolversi spontaneamente, mentre nel restante 40% circa dei casi si rende necessaria una terapia mirata. Attualmente non si dispone di alcun vaccino, una cura o una terapia per via generale. L'unico mezzo per eliminarle è quello di distruggerle fisicamente. Oggi ciò è possibile utilizzando sostanze chimiche da applicare sulle verruche; le molecole più utilizzate sono l'acido salicidico e l'acido lattico, sottoforma di soluzioni, pomate o sostanze incorporate in un piccolo dischetto idrogel a rilascio controllato da applicare ogni sera finché non si stacca la verruca. Un'altra via possibile per eliminare il disturbo è di bruciare i porri; ciò può avvenire in due modi diversi: con l'elettrocoagulazione o con la crioterapia. La prima rappresenta la più antica terapia in fatto di verruche; sfrutta le proprietà della corrente ad alta frequenza, così da bruciare "a caldo" le verruche. Questo metodo, però, può provocare una necrosi (morte) dei tessuti e, quindi, possibili cicatrici. La crioterapia, invece, utilizza l'azoto compresso da applicare sulle zone colpite da HPV mediante una particolare sonda; è questa, quindi, una terapia "a freddo", il cui vantaggio è di essere facilmente praticabile, di non provocare cicatrici e di non aver bisogno di anestesia. A volte, però, occorrono più applicazioni prima che il virus sia estirpato completamente dalle cellule. Ultima possibile terapia anti-verruche (nonché la più recente) è rappresentata dal laser CO2, il quale può sostituire l'utilizzo dell'elettrocoagulazione; per le zone del viso, però, è necessaria una particolare attenzione poiché esiste il rischio di fenomeni secondari come macchie e segni antiestetici.

Le micosi

Si tratta di infezioni dovute a piccolissimi funghi che attaccano la pelle, soprattutto nei soggetti con continue screpolature cutanee (come i diabetici), poiché le alterazioni del mantello cutaneo rendono la pelle più sensibile all'attacco dei miceti, che tendono a sfruttare le debolezze del sistema immunitario.
Il contagio può avvenire per contatto con un soggetto infetto, per l'uso scorretto di saponi troppo alcalini (che possono alterare l'acidità della pelle) o, infine, per l'uso di indumenti che non permettono una corretta traspirazione, creando così un ambiente caldo-umido che tende a facilitare lo sviluppo dei miceti. A volte, inoltre, l'uso protratto di antibiotici, così come l'uso prolungato di farmaci corticosteroidi, possono anch'essi modificare la flora batterica dell'organismo e, quindi, facilitare l'insorgenza dei miceti.
La diagnosi, per essere certa e tempestiva, deve essere fatta da persone in grado di riconoscere le caratteristiche delle varie categorie di miceti. La zona colpita da micosi si presenta generalmente molto arrossata (a volte con la tipica forma ad "anello" della tinea corporis), con evidenti segni di desquamazione, a causa della crescita dei miceti che tendono a consumare lo strato più superficiale della cute.
Il sintomo più evidenti è un forte prurito localizzato nella zona arrossata, a volte associato a sensazioni di bruciore (soprattutto se la zona è a contatto con un indumento). Non sempre, però, i sintomi descritti sono tali da far sospettare una micosi; spesso, infatti, passano molti anni prima che la malattia venga diagnosticata, e magari solo per caso!
La terapia attualmente disponibile si avvale di particolari farmaci detti antimicotici, a base di clotrimazolo, applicabili localmente sulla zona colpita dal fungo. L'azione topica di questi prodotti evita il rischio di effetti collaterali che, invece, potrebbero manifestarsi in caso di terapia per bocca. I farmaci si presentano sottoforma di creme, lozioni, polvere o spray (molto comodi per le zone più difficili da raggiungere, come nuca, pieghe del collo, spalle e schiena). La percentuale di successo di questi prodotti è ottima; la maggior parte dei casi di recidive, infatti, è stato sempre associata ad errate applicazioni da parte del paziente o sospensioni della terapia prima del previsto. La cura, infatti, deve essere protratta, in media, per 10-15 giorni.

Consigli utili

Per evitare di imbattersi in questi antipatici virus o parassiti è bene ricordare ai più piccoli di tenere bene a mente queste 4 semplici "regole di buona condotta":
  1. Non camminare a piedi nudi in piscina, in palestra, negli spogliatoi o nelle docce;
  2. Evitare di lasciare troppo "a mollo" mani e piedi in acqua e detersivi;
  3. Evitare l'uso comune di asciugamani e biancheria;
  4. In caso di contagio, non grattare la zona colpita per evitare una rapida diffusione dell'agente patogeno;
I genitori, dalla loro parte, dovrebbero adottare sempre i seguenti 4 provvedimenti:
  1. Far utilizzare ai propri bambini solo saponi acidi, sconsigliando loro l'uso di spugne e lavaggi troppo frequenti;
  2. Lavare la biancheria a caldo e stirarla con ferro molto caldo.
  3. Ricordarsi di lavare lamette, forbici, rasoi, ... con acqua bollente se utilizzate da persone con infezione da funghi;
  4. Fare attenzione che l'eventuale applicazione di prodotti topici non avvenga solo sulla zona colpita, ma anche nelle zone circostanti l'infezione.

Annapaola Medina



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