Malattie renali, fare di più

06 dicembre 2007
Aggiornamenti e focus

Malattie renali, fare di più



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Sistemi funzionalmente simili alle sinapsi cerebrali, che fanno comunicare i neuroni e grazie alla plasticità agli stimoli accumulare informazioni cioè apprendere, potrebbero esistere anche da tutt'altra parte. Per esempio in organi molto diversi, come i reni. E' uno degli spunti più recenti e promettenti della ricerca nefrologica, che potrebbe portare a sviluppi terapeutici. Questo testimonia l'importanza d'intensificare gli studi in questo campo: un'istanza sostenuta dalla I Kidney week, la settimana per la ricerca sulle malattie renali promossa dal 2 al 9 dicembre a Milano dalla Fondazione D'Amico, con il patrocinio dell'Assessorato alla salute. Una settimana con un Corso internazionale di aggiornamento in nefrologia e dialisi, un concerto di beneficenza del pianista Mario Delli Ponti (il 7 alle 19.30, Basilica di Sant'Alessandro), un sistema di banchi informativi per i cittadini. Ma qual è il senso dell'iniziativa? "In Italia si ritiene che quello delle malattie renali sia ancora in qualche modo un problema di nicchia, mentre così non è" spiega Giuseppe D'Amico, presidente della Fondazione, che opera senza fini di lucro in campo scientifico, formativo e divulgativo. "In tutto l'Occidente si ritiene che deficit della funzionalità renale riguardino il 10-12% della popolazione, nel nostro paese ne soffrono oltre cinque milioni di persone.

Individuato sistema simile alle sinapsi


"Le malattie renali sono collegate ad aumento di peso e obesità e questo a sua volta determina probabilmente un ulteriore aumento delle nefropatie. Non sappiamo ancora molto sulle loro cause e un altro punto è che abbiamo bisogno di terapie più specifiche di quelle attuali, anche se farmaci per rallentare la progressione già ci sono, persino di bloccare l'evoluzione, almeno nelle glomerulonefriti e altre patologie diffuse; presto comunque ce ne saranno altre. Questo però se la diagnosi è precoce, cosa che si può fare facilmente, e se si fa ricerca finalizzata che è invece ancora scarsa. Per sensibilizzare anche su questi aspetti vengono allestiti i banchi informativi". E la ricerca, quando si fa, è fruttuosa. Come quella illustrata da Maria Pia Rastaldi, della Fondazione D'Amico-Ospedale San Carlo di Milano, con nuovi risultati pubblicati nel 2006 e relativa ai podociti. Si tratta di cellule ramificate del glomerulo, l'unità funzionale del rene, che sembrano le più importanti per la selettività della filtrazione cioè per impedire il passaggio delle proteine nell'urina. Si è scoperto che i podociti comunicano tra loro e con le altre cellule del glomerulo attraverso un sistema come quello delle sinapsi neuronali, attraverso vescicole che rilasciano neurotrasmettitori. Nell'animale si è provato a bloccare la comunicazione e questo ha prodotto un'alterazione del glomerulo e l'aumento delle proteine nell'urina (proteinuria). Si è cominciato a trattare con neuromodulatori ottenendo discreti risultati e da qui si aprono prospettive terapeutiche.

Progressione uguale infarti, ictus, dialisi


Un aspetto cruciale, come detto, è la diagnosi precoce. "Se la funzionalità renale è ridotta, anche inizialmente, già aumenta il rischio di complicanze cerebro e cardiovascolari, cioè ictus e infarto miocardico" precisa D'Amico. E, specie se coesistono fattori predisponenti come ipertensione, proteinuria o microalbuminuria, iperlipidemia, obesità, diabete, il deficit funzionale tende a progredire. Perciò la disfunzione andrebbe diagnosticata nelle fasi iniziali, cosa possibile misurando i livelli ematici della creatinina (sostanza di origine muscolare che viene eliminata), così da avviare le terapie che contrastano l'avanzamento. Va ricordato che il passaggio alle fasi avanzate di malattia si traduce nel nostro paese in ottomila nuovi pazienti che ogni anno entrano in dialisi, 46mila persone che vivono solo grazie a questa terapia e più di 16.500 con un rene trapiantato (senza contare quelli in attesa). Per dirlo in termini economici, la cura delle malattie renali assorbe il 3% della spesa sanitaria nazionale e ogni dializzato costa circa 40mila euro all'anno. Il sostegno alla ricerca aiuterebbe a porre le basi per prevenzione, diagnosi e cure adeguate, con positive ricadute, alla lunga, anche economico-sanitarie. "Sarebbe importante poi istituire delle Remission clinic per le malattie renali" aggiunge D'Amico "ambulatori come quelli di diabetologia dove i medici seguono sempre gli stessi malati, potendo fare anche valutazioni a posteriori utili per la ricerca".

Elettra Vecchia



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