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19 giugno 2003
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Più che un nuovo 'detto' è un vero proprio consiglio per prevenire le demenze senili, un'esortazione più che valida almeno nelle persone anziane come dimostrano i risultati ottenuti da ricercatori americani. Dati precedenti avevano già riportato che le persone con una formazione scolastica alta risultavano meno esposte agli effetti della demenza, probabilmente per effetto di una maggiore complessità di sinapsi neuronali, lo stesso fenomeno sembrava interessare anche le persone anziane impegnate in attività nel tempo libero.
Nella maggior parte delle demenze, comunque, esiste una fase pre-clinica di declino cognitivo, prima di una diagnosi certa, durante la quale non è chiaro se l'esclusione di alcune attività sia una causa o una conseguenza di tale declino. Per sciogliere questi dubbi è necessario un tempo di osservazione piuttosto lungo; 21 anni potrebbero essere una sufficiente durata e sono anche la durata di uno studio pubblicato da The New England Journal of Medicine, iniziato nel 1980 e conclusosi nel 2001.

Attività cognitive e protettive


I soggetti reclutati erano cittadini di una stessa comunità, tra i 75 e gli 85 anni, che non riportavano segni di demenza, di gravi problemi uditivi o visivi, di morbo di Parkinson, di malattie epatiche, alcolismo o altre patologie terminali.
All'inizio dello studio è stato chiesto loro quale tipo di attività svolgevano nel tempo libero e, in base alla frequenza, si attribuiva a ognuno un punteggio. Le attività cognitive riguardavano la lettura di libri o quotidiani, la scrittura, le parole crociate, i giochi di scacchiera o di carte, la partecipazione a gruppi di discussione organizzati e suonare strumenti musicali. Le attività fisiche erano, invece, il tennis, il golf, il nuoto, la bicicletta, il ballo, gli esercizi in gruppo, i giochi di squadra, salire le scale, fare i lavori domestici, accudire bambini. La frequenza poteva essere giornaliera, alcuni giorni o un giorno alla settimana, mensile, occasionale oppure nulla.
Nella coorte, formata da 469 anziani, in 21 anni si sono verificati 124 casi di demenza (61 di Alzheimer, 30 di demenza vascolare, 25 di demenza mista e 8 di altri tipi di demenze); al termine del periodo di studio ci sono stati 361 decessi e 88 "abbandoni" mentre 21 soggetti erano ancora attivi. Sulla base dei dati demografici è stato confermato che la diagnosi riguardava soggetti più anziani, con livello di istruzione inferiore, punteggio più basso nelle scale di attività cognitive ma non in quelle relative all'attività fisica. Il minor rischio di demenza era, infatti, associato ad alcune attività cognitive, come la lettura, i giochi di scacchiera e suonare strumenti musicali, e a un'unica attività fisica, il ballo.

Menti impegnate


I risultati si prestano a più interpretazioni. Si può concludere che esiste un reale effetto causativo delle attività del tempo libero. Ma d'altro canto si potrebbe ipotizzare una sovrastima dell'effetto protettivo: la demenza pre-clinica, intesa come inizio del declino cognitivo ma non ancora demenza accertata, potrebbe aver escluso alcune persone dallo studio in quanto impossibilitate a impegnarsi in attività nel tempo libero. Inoltre, poiché lo stadio pre-clinico precede solitamente di sette anni la diagnosi, tutti coloro che hanno sviluppato la demenza entro il settimo anno dovrebbero essere lasciati fuori dallo studio, in quanto al momento dell'arruolamento erano già nella fase del declino.
Ma anche questa nuova analisi dei dati confermava i significativi effetti protettivi delle attività cognitive, in grado di rallentare la fase pre-clinica in coloro che hanno sviluppato la demenza dopo i primi sette anni di studio.
Gli autori della ricerca sottolineano che non è possibile stabilire una relazione causale in quanto non sono stati presi in considerazione i genotipi dei pazienti e molti altri fattori, tuttavia ritengono verosimile che lo sforzo mentale, richiesto per praticare le suddette attività, non solo possano rafforzare le connessioni sinaptiche esistenti ma ne generano di nuove, stimolando la neurogenesi.
Prevenire le demenze senili assume un ruolo sempre più critico tra le priorità della medicina, e l'identificazione dei fattori protettivi è essenziale per pianificare opportuni programmi di intervento su persone anziane.

Simona Zazzetta



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