Segnali di allarme, non allarmismi

16 maggio 2007
Aggiornamenti e focus

Segnali di allarme, non allarmismi



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Esiste una profonda differenza tra l'essere ipocondriaci e il riconoscimento di segnali importanti, che assumono importanza in base alla loro evoluzione nel tempo. Per altro sono gli stessi medici, in particolare quelli di famiglia, ad avere il compito di pesarli, dargli la giusta dimensione e se necessario rimandare a uno specialista per fare esami specifici.

Malattia preannunciata


In teoria, le linee guida fanno riferimento alla regola delle due settimane quando c'è un sospetto di malattia tumorale e per alcuni sintomi specifici si richiedono esami o visite specialistiche di urgenza. Ma le evidenze in base alle quali stabilire il livello di allarme dei sintomi sono deboli, oltre al fatto che nel caso di neoplasie la frequenza di diagnosi è bassa, quindi il medico di medicina generale deve isolare una minoranza, tra i pazienti che vede, che necessiti di attenzione urgente. L'attenzione viene posta su alcuni sintomi che possono essere usati come strumenti diagnostici, e per capirne le potenzialità è stata misurata la loro capacità di prevedere l'eventuale sviluppo del tumore. Lo hanno fatto i ricercatori del Dipartimento di Medicina Generale e di Scienze della Salute Pubblica di Londra, prendendo in considerazione l'ematuria, l'emoptisi, (sangue nelle urine e nell'espettorato, rispettivamente), il sanguinamento rettale e la disfagia (difficoltà a deglutire). La comparsa dei singoli segnali è stata registrata, qualora ci fosse, in una popolazione di oltre 760 mila pazienti con più di 15 anni, monitorata per cinque anni.
Un primo episodio di uno dei quattro sintomi, riscontrato nelle visite dal medico di famiglia era associato a un'aumentata probabilità di diagnosi di tumore. Nei primi tre mesi dalla comparsa di uno di essi il rischio era fortemente incrementato e nei primi tre anni la patologia più probabile da sviluppare era il tumore esofageo in associazione alla disfagia, la meno frequente, il tumore del colonretto dopo il sanguinamento rettale. In realtà, in ogni caso il rischio restava particolarmente alto nel primo anno dalla comparsa del sintomo per poi gradualmente ridursi negli anni successivi e annullarsi dopo cinque anni.

Fretta giustificata


Acquisisce, quindi, valore la fretta con cui il medico di famiglia invia il paziente a un consulto o a un esame specialistico nei primi mesi dopo la comparsa di uno dei sintomi di allarme. Premura che, però, può essere calibrata sull'età, il genere e il tipo di sintomo.
In caso di ematuria il rischio di tumore è fortemente incrementato nei primi tre mesi fino a sei mesi dopo la sua manifestazione, in particolare nei pazienti giovani, negli uomini di mezza età e nelle donne anziane. Nei gruppi più a rischio si procede all'esame fisico, alla cistoscopia e all'imaging del tratto renale superiore nel più breve tempo possibile.
L'emoptisi diversamente da quanto ci si aspetti, ha una bassa sensibilità per predire patologie maligne del tratto respiratorio, è con maggiori probabilità, associato con infezioni. Ovviamente quando non è possibile spiegare così la presenza di sangue nel catarro, il rischio elevato di tumore accompagna i primi tre mesi e gli esami per immagini devono essere eseguiti immediatamente anche solo per escludere la neoplasia.
La disfagia è un sintomo che accompagna diverse patologie gastriche, come per esempio il reflusso gastroesofageo, e per vederlo migliorare si ricorre a farmaci che bloccano la secrezione acida dello stomaco. Ma un eventuale miglioramento necessita di tempo che non sempre c'è: stando ai dati raccolti in questa popolazione di pazienti, nei primi 3-6 mesi, in particolare per gli uomini il tasso di diagnosi di tumore esofageo è alto. Proprio per questo motivo, le recenti linee guida indicano come parametro di allarme la progressione della disfagia, in un monitoraggio molto limitato nel tempo per facilitare la diagnosi precoce, soprattutto se maligna.
Il sanguimento rettale, infine, è un sintomo molto diffuso nella popolazione generale, ma associato a un rischio di tumore colonrettale nei primi tre mesi dalla comparsa del sintomo.
Si direbbe che i primi 90 giorni dalla manifestazione di un sintomo riconosciuto come di allarme, siano la fase critica, anche perchè in quanto tale, l'allarme non può perseverare.

Simona Zazzetta



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