Come non trattare i pazienti

04 luglio 2008
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Come non trattare i pazienti



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Da quando la genetica e la biologia molecolare scandagliano a fondo il nostro organismo svelano caratteristiche infinitesimali, come i biomarcatori, che ci differenziano l'un l'altro nei confronti non solo delle malattie, ma anche dell'efficacia dei trattamenti. Lo studio dei biomarcatori predittivi della risposta alla terapia è molto promettente in oncologia. L'obiettivo idealmente è arrivare al trattamento individualizzato, cioè selezionare il farmaco più idoneo per il singolo paziente sulla base delle caratteristiche molecolari del suo tumore, migliorando così gli esiti clinici e portando a nuovi chemioterapici sempre più efficaci, riducendo al contempo la tossicità e i costi sanitari. C'è però un problema: l'enorme eterogeneità e i complessi meccanismi man mano svelati per il cancro rischiano di rendere troppo difficile l'identificazione di biomarker predittivi di risposta positiva a un farmaco o a una classe di farmaci. Una proposta alternativa è rovesciare questa strategia: individuare cioè i fattori predittivi di risposta negativa a una terapia, così da sapere nella pratica clinica come "non" trattare un determinato paziente. La spiega sul Lancet Oncology illustrandone i possibili vantaggi un oncoematologo dell'Università di Chicago.

Vantaggi per terapie tradizionali e nuove


Il punto è, nota l'autore, che a fronte del grande interesse per i biomarcatori predittivi in oncologia, sono ben pochi per ora i casi in cui si è andati oltre le semplici aspettative. Questo vale per il recettore estrogenico (ER), con moderato valore predittivo positivo e un alto valore predittivo negativo; l'identificazione dei tumori mammari a elevata espressione del biomarker ERBB2 è un esempio di test utile, ma non predice quali malate non risponderanno o risponderanno alla terapia mirata su ERBB2. Né d'altro canto ci sono biomarker predittivi per i trattamenti anti-angiogenesi, che bloccano la vascolarizzazione e quindi il nutrimento del tumore, nonostante siano ampiamente usati, con relativi tossicità e alti costi. Su cosa poggia allora la strategia dei biomarcatori predittivi negativi? Studi recenti suggeriscono che possa essere molto fruttuosa sia per i tradizionali farmaci citotossici, sia per quelli mirati sul bersaglio molecolare. Qualche esempio. Cominciando con i farmaci tradizionali. L'aggiunta di temozolomide alla radioterapia migliora la sopravvivenza dei malati di glioblastoma non selezionati, ma non in modo significativo per quelli che non hanno l'enzima MGMT, cosa che conferisce una resistenza a quel farmaco: occorrerebbero opzioni alternative per questi soggetti. La chemioterapia adiuvante (dopo la chirurgia) con cisplatino porta a un piccolo vantaggio di sopravvivenza nei malati di cancro polmonare non a piccole cellule, ma questo si riduce in quelli in cui non è espressa la proteina ERCC1 di riparazione del DNA, nei quali si potrebbe quindi evitare l'esposizione agli affetti tossici del cisplatino. Ancora, l'aggiunta di paclitaxel alla chemioterapia adiuvante con farmaci citotossici (doxorubicina e ciclofosfamide) aumenta la sopravvivenza nella malate di cancro al seno linfonodo-positivo, ma non ne beneficiano le donne ERBB2-negative o i casi ER-positivi. Nel secondo gruppo, i farmaci mirati sul biomarcatore, sembra per esempio che la proteina mutata KRAS conferisca resistenze a cetuximab e panitumumab nel tumore colo-rettale e si associ anche all'inefficacia degli inibitori dell'EGFR (fattore di crescita epiteliale) nel cancro polmonare non a piccole cellule. In Europa, panitumumab è approvato solo per i malati di ca del colon-retto portatori di KRAS e lo sarà anche negli Usa, dove pure il cetuximab potrebbe essere ristretto al tumore polmonare non a piccole cellule in presenza di KRAS.

Più efficacia, meno tossicità e costi


Tutto questo richiede l'esecuzione di test per individuare le caratteristiche biomolecolari. Disponendo comunque di test genetici multipli, potrebbe essere più utile per stabilire chi non va trattato piuttosto che chi dev'esserlo. Un altro caso è la valutazione, con lo studio TAILOR (assegnazione delle opzioni individualizzate di trattamento) che è in corso negli Stati Uniti, se il profilo molecolare possa essere predittivo del rischio di recidiva nella malate di cancro ormono-recettore positive e linfonodo-negative, e se sia vantaggiosa l'aggiunta della chemio alla terapia ormonale: il trial potrebbe così mostrare quali donne non trattare in tal modo. In conclusione, nota l'autore, se l'intento dei medici è l'uso mirato dei farmaci nei malati che ne possono trarre il maggior beneficio in base alle caratteristiche biomolecolari, per il bene del paziente è anche importante non dimenticare gli effetti tossici e i costi elevati di trattamenti che non portano vantaggio. E a questo scopo i biomarcatori che possono dire chi non trattare sono molto utili, specie se le opzioni terapeutiche continueranno ad aumentare.

Elettra Vecchia



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