Via percutanea nei tumori mini

25 gennaio 2008
Aggiornamenti e focus

Via percutanea nei tumori mini



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Poco considerato, forse, il carcinoma epatocellulare è la quinta forma tumorale per diffusione. Intervenire chirurgicamente, dal punto di vista tecnico, non è un'impresa ardua, se non fosse che molto spesso le persone che presentano questo tumore hanno anche una ridotta funzionalità epatica, ragion per cui asportare una parte importante del fegato vorrebbe dire menomarne le funzioni. Infatti, questo cancro si accompagna spesso alla cirrosi epatica, essendo anch'esso una delle conseguenze delle epatiti croniche. Sono state nel tempo proposte diverse alternative: l'alcolizzazione, cioè il trattamento delle lesioni neoplastiche con alcol, la chemioembolizzazione, una variante della tecnica precedente nella quale si impiegano farmaci antitumorali in loco.

Aprire o non aprire l'addome?


Buona ultima è arrivata l'ablazione a radiofrequenza (RFA). La tecnica prevede l'applicazione alla lesione di un elettrodo (in realtà ne esistono tipi diversi anche multipli) che emette onde elettromagnetiche a elevatissima frequenza che, producendo calore, determinano la morte del tessuto tumorale. Una procedura meno sanguinosa, in tutti i sensi, e che permette di risparmiare quanto più possibile il tessuto sano circostante. Però esistono diverse modalità di applicazione della radiofrequenza: si può agire per via percutanea, cioè inserendo direttamente l'elettrodo attraverso la cute guidandone lo spostamento con l'ecografia o la tac, oppure si può operare in aperto e posizionare l'elettrodo direttamente. Esiste anche una terza via, ed è quella endoscopica. Certo, tutto dipende dalle dimensioni della lesione, e dalla sua collocazione. Per cercare di capire quale delle soluzioni offra i maggiori successi, è stato condotto a Hong Kong uno studio in cui i pazienti sono starti trattati con RFA o per via percutanea o in aperto (ma in questo gruppo sono stati inseriti anche 20 casi trattati per via endoscopica). Il confronto è stato condotto in termini di capacità di asportare completamente la lesione, di sopravvivenza e di sopravvivenza senza malattia. Il campione è stato stratificato in funzione delle dimensioni della lesione, dividendolo in piccoli tumori, fino a 3 cm di diametro, e tumori medi, fino a 5 centimetri di diametro.

Un intervento tampone


Nella selezione, come intuibile, i piccoli tumori erano più numerosi nel gruppo avviato alla RFA percutanea, ma comunque erano rappresentate entrambe le dimensioni in entrambi i gruppi. Il risultato, quando si trattava di piccoli tumori, l'asportazione completa si otteneva con entrambe le metodiche nel 95% dei casi, mentre le complicanze e la durata del ricovero erano superiori nel gruppo trattato chirurgicamente. La sopravvivenza a 1 a 3 anni nel gruppo della RFA percutanea era pari, rispettivamente, al 91 e al 71%, nel gruppo della RFA in aperto i due valori erano l'89 e il 57%, una differenza ai limiti della significatività. Nel caso dei tumori di media dimensione, mentre gli altri aspetti erano simili tra le due metodiche, nel caso della sopravvivenza l'approccio in aperto mostrava un significativo vantaggio: la sopravvivenza a un anno toccava infatti il 92%, quella a tre anni il 68% mentre nei pazienti trattati in via percutanea era significativamente più basso: 81% e 42%. Insomma, anche se lo studio non doveva dimostrare questo, è evidente che con tumori di dimensioni medie, e a maggior ragione superiori a 5 cm, l'intervento in aperto sembra offrire maggiori garanzie. Tuttavia i ricercatori dicono che il risultato complessivo è lontano dall'essere soddisfacente. Però ammettono che nel loro campione molti dei pazienti avevano l'indicazione al trapianto di fegato, che resta ancora la soluzione migliore quando si associano tumore e cirrosi, ma non avevano potuto accedervi per carenza di donazioni. A loro avviso l'ablazione a radiofrequenza resta una soluzione ponte, in questi casi, in attesa del trapianto. Quanto alla scelta fra le due metodiche, molto dipende dalle dimensioni della lesione, certamente, ma anche da altri fattori. Incidendo l'addome, infatti è possibile inserire più agevolmente il o gli elettrodi, anche spostando l'organo manualmente. Inoltre, la palpazione consente un'inserzione più adeguata e, soprattutto, è più facile, con l'ecografia intraoperatoria, farsi un'idea dello stadio del tumore. La via percutanea, d'altra parte, crea meno difficoltà, soprattutto con le lesioni piccole. Insomma la decisione, ancora una volta, si prende caso per caso.

Maurizio Imperiali



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