Prevenzione anche per la psiche

05 maggio 2006
Aggiornamenti e focus

Prevenzione anche per la psiche



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C'è una tendenza sempre più forte nella psicologia occidentale: non si punta più soltanto alla guarigione dal disagio o dalla malattia vera e propria, ma si cerca, anche in chi è "sano di mente", di puntare a una qualità di vita migliore. Esattamente come avvenuto per il corpo, dove non basta più non avere una polmonite o peggio, ma si ricerca il benessere, adottando uno stile di vita adeguato, così avviene per la psiche. E se per il corpo si parla di benessere, per quanto riguarda la mente si ricomincia a usare il termine felicità, ed è curioso che il concetto comincia fare capolino anche in politica, dove l'ultimo rimando esplicito risale alla Costituzione degli Stati Uniti d'America.Questa nuova frontiera della psicologia è bene illustrata in un testo di recente pubblicazione della psicologa Anna Fata. Un buon esempio anche di quale differenza corra tra questo approccio della psicologia e le ricette a senso unico che alcune sedicenti scuole di pensiero più o meno esoteriche hanno rilanciato in tempi relativamente recenti. L'approccio della psicologa è olistico, ma nel senso che alla composizione di una vita armoniosa rientrano molti aspetti differenti, praticamente tutti quelli con cui si entra in contatto dall'alimentazione all'ambiente, sia quello artificiale, come la casa che ci si "cuce addosso", sia quello naturale, nel quale si potrebbe anche fare rientrare il rapporto con gli animali. E ovviamente, anche il rapporto con la salute del corpo. Ed è in questo capitolo che si apprezza l'importanza di una maggiore consapevolezza di sé ai fini del benessere mentale. Infatti, spiega Anna Fata, tra lo stato della propria cartella clinica e la felicità della propria vita none esiste una relazione diretta, esiste semmai tra la felicità e la percezione che la persona ha della propria salute, vale a dire che la malattia è un impedimento al benessere, al di là delle limitazioni fisiche, soltanto nella misura in cui non si riesce a porla in prospettiva rispetto a tutti gli altri fatti della vita, ma continua a pararsi davanti al proprio sguardo sul mondo, impedendo di vedere altro. Sembra una considerazione troppo semplice, ma va tenuto presente che oggi anche gli studi clinici sulle malattie croniche cominciano ad adottare il criterio di salute percepita per giudicare dell'efficacia di certi schemi di trattamento, anche per alcune patologie croniche con un contenuto inabilitante, per esempio le patologie articolari. E come la salute è solo un prerequisito, lo stesso vale per altre condizioni spesso inseguite in modo un po' ottuso, dalla bellezza al successo. E' chiaro che alcune condizioni materiali hanno un effetto abbastanza marcato: intelligenza e disponibilità economica, per esempio, costituisco un aiuto ma hanno una sorta di effetto tetto: oltre un certo livello la loro influenza non cresce. Un altro aspetto interessante della psicologia della felicità è l'uso che viene proposto di diverse tecniche che sono nate nella clinica vera e propria ai fini di una "manutenzione" del proprio io, dalle pratiche di rilassamento al biofeedback, che sono metodiche fisiche, alle tecniche mentali di verbalizzazione e immaginazione creativa. Insomma, buona parte del bagaglio che lo psicoterapeuta cognitivo comportamentale impiega anche nel trattamento della depressione vera e propria trova una sua efficacia in questo campo apparentemente più soft. Però, l'indicazione più generale di tutte è che non si può prescindere da una buona conoscenza di sé, se si vuole essere felici, non fosse altro che per evitare di porsi obiettivi irrealistici, e di cercare di vivere il presente in pienezza, consci di quello che succede dentro e fuori di sé qui e ora. Un filosofo oggi un po' trascurato, Martin Heidegger, padre dell'esistenzialismo, già all'inizio del secolo scorso aveva indicato la continua proiezione in avanti come uno dei mali della modernità, e forse è il caso di tenerlo presente.

Maurizio Imperiali



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