Pregiudizi da vaccino

30 giugno 2004
Aggiornamenti e focus

Pregiudizi da vaccino



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L'ultima "bufala" in ordine di tempo risale a qualche mese fa e prendeva di mira la vaccinazione contro l'epatite B. Si diceva che era stata ritirata perché si era scoperto che era pericolosa. In realtà tutto quello che era successo era la caduta della raccomandazione di vaccinare i bambini fino a 12 anni non vaccinati alla nascita. Ma era già previsto: dopo 12 anni di vaccinazioni dei neonati questa necessità non c'era più. In effetti le vaccinazioni sono sempre esposte a questo genere di attacchi, eppure la pratica delle immunizzazioni è tra le poche che ha realmente mutato il quadro della salute pubblica in tutto il mondo, o almeno in quella parte che i vaccini può permetterseli.

Sentimenti presenti ovunque


Le paure immotivate, peraltro, non sono solo italiane. Un recentissimo studio condotto negli Stati Uniti ha esaminato, non sul piano statistico ma con il meccanismo dei focus group, quali siano i comportamenti e le motivazioni dei genitori che si oppongono alla vaccinazione dei propri figli. La prima osservazione che ne esce è che raramente il rifiuto è totale: più spesso viene rifiutata questa o quella vaccinazione, soprattutto in funzione della plausibilità di un possibile contagio. In questo senso, la vaccinazione contro l'epatite B è una di quelle che ha suscitato nel campione le maggiori perplessità, come se ben difficilmente un bambino potesse entrare in contatto con il virus. Peraltro è una convinzione pericolosa, dal momento che, al di là della frequenza del contagio, è proprio nei giovanissimi che più spesso l'infezione diviene cronica. Motivi opposti per quella contro la varicella, probabilmente rifiutata perché giudicata una malattia lieve, che tende naturalmente a limitarsi. A reggere nel complesso la diffidenza verso le vaccinazioni sono due fenomeni: la scarsa informazione oppure convinzioni che con qualche generosità sono state definite "filosofiche". Per esempio, la convinzione che non si debba interferire con meccanismi naturali e che, quindi, l'immunità vada acquisita contraendo direttamente la malattia, ritenendo, inoltre, che l'immunità così acquisita sia più forte e duratura di quella garantita dal vaccino. Altre convinzioni diffuse sono che l'allattamento al seno, meglio se prolungato, sia già una misura profilattica adeguata, unita a misure come tenere a casa da scuola i bambini quando si presentano le epidemie, oppure tenerli "alla larga" da ambulatori comunità. Un dato segnalato dai medici e dalle infermiere vaccinatori è che, in caso di scarsa informazione, fornendo le notizie richieste il genitore di norma acconsente all'immunizzazione, mentre questo è più difficile quando si è di fronte a una convinzione "strutturata". Infine, un dato generale: sono soprattutto le persone orientate verso le medicine alternative a esprimere il rifiuto più forte.

L'informazione conta, anche se...


L'informazione è dunque un punto importante. A esercitare influenza pare sia in primo luogo la televisione, soprattutto quando segnala casi di reazioni avverse a vaccini, pur esprimendo i genitori dubbi rilevanti sulla neutralità di queste notizie. Paiono poi mettere sullo stesso piano sia le informazioni fornite dagli enti pubblici, negli Stati Uniti i Centers for Disease Control o CDC, sia quelle dei siti anti-vaccinazioni. La critica è che i primi fanno propaganda, i secondi allarmismo e, evidentemente, nel dubbio meglio astenersi. Quello che si vorrebbe sono dati oggettivi. Diverso il giudizio su quanto dice direttamente il medico: anche chi poi ha preferito non vaccinare riconosce la correttezza e l'onestà delle spiegazioni fornite dal curante. In particolare sembra determinante la risposta a una domanda e cioè: "dottore, lei vaccinerebbe i suoi figli?". In definitiva sembra che i mezzi di comunicazione possano molto per offuscare i vantaggi della vaccinazione, mentre è soprattutto il rapporto con il medico a poter ristabilire un quadro realistico. A patto che il medico sappia ascoltare in modo amichevole e non censorio e sia in grado di fornire informazioni su misura (Per esempio: "meglio che vacciniate vostro figlio contro il tetano visto che vivete in una fattoria").
Lo studio è stato motivato anche dal fatto che i dati statunitensi più recenti (anno 2002) parlano di una copertura del 65% per l'ultima serie delle vaccinazioni raccomandate (difterite, tetano, pertosse, epatite B, Haemophilus influenzae B). Una percentuale bassa, che mette in crisi il cosiddetto "effetto branco". Quest'ultimo spiega perché oggi, ma non 60 anni fa, si possa anche non vaccinarsi e rischiare poco: se la stragrande maggioranza in una comunità è vaccinata il virus o il batterio hanno una circolazione limitatissima e, quindi, le probabilità di ammalarsi scendono vertiginosamente. Ma sotto al 90% l'effetto branco tende progressivamente a sparire e, a quel punto, è davvero difficile ritenersi al sicuro.
E' chiaro però che non sono soltanto gli elementi elencati finora a determinare la caduta della copertura negli Stati Uniti. Perché le campagne vaccinali funzionino l'offerta deve essere capillare, gratuita e, soprattutto, gestita da medici capaci di comunicare.

Maurizio Imperiali



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