I vaccini funzionano

21 novembre 2007
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I vaccini funzionano



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"Con l'eccezione dell'acqua potabile nessun altro strumento, neppure gli antibiotici, ha avuto un maggiore effetto sulla riduzione della mortalità e la crescita della popolazione", la frase è dell'immunologo statunitense Stanley Plotkin e conferma come le vaccinazioni siano universalmente riconosciute come uno degli interventi di maggiore efficacia per la prevenzione primaria delle malattie infettive. Grazie alle vaccinazioni è infatti possibile prevenire malattie gravi o che possono causare importanti complicanze, sequele invalidanti e morte. Inoltre la vaccinazione attuata su larga scala, secondo strategie appropriate, può consentire non solo il controllo delle malattie bersaglio, ma anche la loro eliminazione o addirittura l'eradicazione dell'infezione a livello mondiale, traguardo già raggiunto per il vaiolo e ormai prossimo per la poliomielite. Si spiega così perché il British Medical Journal abbia messo la scoperta dei vaccini al terzo posto nella graduatoria delle dieci innovazioni sanitarie più importanti. E sulla stessa lunghezza d'onda uno studio condotto dai Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (CDC) e pubblicato su JAMA, ha concluso che i tassi di mortalità per 13 malattie prevenibili con la vaccinazione infantile hanno raggiunto i livelli più bassi di sempre. Si tratta del primo studio in cui si risale ai dati storici del primo '900 per compilare una stima dei casi, dei ricoveri e della mortalità per tutte le malattie contro le quali vengono vaccinati i bambini.

L'indagine dei CDC

I vaccini, ribadiscono i ricercatori dei CDC nell'introduzione allo studio, rappresentano uno dei più grandi sviluppi delle scienze biomediche e della salute pubblica. Negli Stati Uniti i programmi di vaccinazione, con riferimento sia a malattie infettive acute e croniche sia a infezioni che possono portare a tumori, hanno determinato l'eradicazione di molte malattie prevenibili col vaccino. Malattie che hanno anche un costo economico e sociale, oltre alla inevitabile morbilità e mortalità prematura. Il report dei CDC raccoglie i dati riguardanti 13 malattie per le quali le raccomandazioni sono in essere da prima del 2005: difterite, pertosse, tetano, poliomielite, morbillo, parotite, rosolia, Haemophilus influenzae di tipo B, epatite B, epatite A, varicella, polmonite e vaiolo. Quest'ultima di fatto non è più raccomandata dal 1971, ma non può mancare in una analisi storica. Manca invece l'influenza stagionale che rappresenta un caso particolare, meritevole di un trattamento a parte.

I risultati

Dai risultati emerge come per nove di queste malattie, le percentuali di mortalità e ospedalizzazione siano precipitate del 90% da che il vaccino è stato approvato, addirittura nel caso di difterite, vaiolo e poliomielite del 100%. Per sole quattro malattie, epatite A e B, malattie da pneumococco invasivo e varicella, mortalità e infezioni sono calate del 90%. E si tratta di vaccini relativamente recenti, mentre alcune malattie come l'epatite colpiscono in genere gli adulti che vengono vaccinati con meno frequenza.

Risultati importanti, commentano i ricercatori sul New York Times, in particolare in considerazione delle continue lotte che si trovano a fronteggiare i responsabili della salute pubblica contro attivisti antivaccini, che accusano i farmaci di causare le "peggio cose" dall'autismo alle convulsioni. Non è stato quello lo scopo, dicono i ricercatori, ma certo uno studio di questo tipo ribadisce inequivocabilmente il valore terapeutico dei vaccini. L'obiezione di coscienza ai vaccini, del resto, ha portato a una recente denuncia della Health Protection Agency, secondo la quale in Gran Bretagna ci sarebbe la peggiore epidemia di morbillo degli ultimi vent'anni, con 480 casi confermati e un morto. Come a dire che gli sforzi per aumentare l'efficacia e la sicurezza dei vaccini, nonché la loro copertura non devono finire.

Marco Malagutti

Fonti:
  • Roush SW et al. Historical Comparisons of Morbidity and Mortality for Vaccine-Preventable Diseases in the United States. JAMA. 2007;298(18):2155-2163.
  • New York Times



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