Non è sempre osteoporosi

02 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus

Non è sempre osteoporosi



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Le ossa fragili e a rischio frattura non sono solo appannaggio di signore di una certa età alle prese con i sintomi avanzati della menopausa. In questo caso si fa riferimento all'osteoporosi e le terapie disponibili agiscono soprattutto sulle cause ormonali. Ma si possono avere le ossa fragili anche per altri motivi e cambiando la causa, cambia la valutazione del rischio e, essenzialmente, cambia la terapia. Dettagli non da poco.

Il rene soffre, l'osso anche


Una delle circostanze in cui le ossa vengono colpite è l'insufficienza renale cronica. Uno studio recente, sulla scia di altri condotti in precedenza, ha verificato che in donne che hanno superato i 65 anni, in cui la patologia renale è moderata, si registra un aumento del rischio di frattura. La coincidenza degli eventi è stata effettivamente rilevata, ma resta poco chiaro se la fragilità ossea sia dovuta al mal funzionamento dei reni o all'osteoporosi associata alla menopausa delle pazienti. Gli autori hanno confrontato la funzione renale all'inizio dello studio nelle donne che successivamente avevano riportato fratture dell'anca e delle vertebre. In base al tasso di filtrazione glomerulare hanno definito tre gruppi, in uno era normale, in un altro era moderatamente ridotto e in un terzo era leggermente ridotto. Quando tale valore era al di sotto della normalità, a parità di densità ossea (misurata al calcagno) il rischio di fratture aumentava, anche se ciò non si verificava nel caso delle fratture vertebrali e il dato non si confermava usando diversi sistemi di valutazione della funzione renale.

Il problema è sistemico


Un'interpretazione alternativa, proposta da un editoriale comparso a corredo dello studio sulle pagine degli Archives of Internal Medicine, suggerisce che all'insufficienza renale cronica si associano, tra le altre cose, le alterazioni del metabolismo dei minerali. Questo spiegherebbe la perdita di tessuto osseo e le fratture, oltre alle patologie cardiovascolari, la soppressione immunologica e l'aumento della mortalità. Chi ne è soggetto, infatti, presenta una riduzione della densità minerale ossea, dovuta, però, a iperparatiroidismo e deficit di vitamina D. La patogenesi dei pazienti con insufficienza renale cronica è estremamente eterogenea e quindi non può esserci un unico fattore predittivo di fratture in popolazioni del genere. Proprio per dare una corrispondenza a tale complessità, in una consensus conference internazionale svoltasi nell'ottobre del 2005, nell'ambito del progetto KDIGO (Kidney Disease - Improving Global Outcomes), è stato delineato il quadro clinico della osteodistrofia renale. Il comitato di esperti concluse che, poiché le manifestazioni delle anomalie ossee e minerali possono essere così diverse e includere cause esterne al sistema scheletrico, era necessario definire un nuovo quadro clinico a carattere sistemico e chiamarlo disturbo osseo e minerale associato all'insufficienza renale cronica. Per una sua eventuale diagnosi, il paziente deve manifestare uno dei seguenti sintomi o una combinazione di essi: anomalie del metabolismo del calcio, del fosforo, dell'ormone paratiroideo e della vitamina D; anomalie del rinnovamento, della mineralizzazione, del volume, della crescita lineare e della forza del tessuto osseo; calcificazione del tessuto vascolare o di altri tessuti molli.
Resta comunque valida l'importanza del contributo apportato dai dati ottenuti dallo studio in quanto va a sostegno del concetto che una diagnosi di osteoporosi basata sui criteri di densità ossea non andrebbe fatta in pazienti con l'insufficienza renale cronica. E prima di iniziare una qualsiasi terapia antiosteoporotica le pazienti devono essere ulteriormente valutate e trattate per qualsiasi disturbo sottostante.

Simona Zazzetta



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