Incontinenza non raccontata

08 aprile 2005
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Incontinenza non raccontata



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In una società, quella occidentale, sempre più asettica e sempre più orientata verso l'igiene e la pulizia, il rifiuto verso tutto ciò che è purulento, morente o incontinente si direbbe essere scontato. Con questa premessa, non deve meravigliare se alcuni tipi di disturbi, come appunto l'incontinenza urinaria, creino un profondo disagio, tale da avere imbarazzo nel comunicarlo ai familiari, agli amici, al proprio medico.

Un disturbo non così raro


Ma le difficoltà non sono univoche. Anche lo stesso medico spesso non è preparato a rispondere, ma neanche a chiedere. Complice di tali difficoltà anche la definizione del disturbo che fino a qualche tempo fa non era univoca, in quanto si tratta di una patologia complessa con implicazioni sociali non semplici da delineare. Ragion per cui anche i dati epidemiologici sono oggi ancora lacunosi, si parla di una prevalenza del 25% nella popolazione femminile, senza distinzione di età di cui il 6-10% di casi gravi. Con costi diretti non trascurabili: uno studio del 1995 dimostrò che, il 64% della spesa sanitaria italiana era stata impegnata per coprire i rimborsi di ausili e presidi medici per i casi di incontinenza urinaria, quindi solo quelli per i quali era stata avanzata domanda di invalidità. Oggi di incontinenza urinaria se ne riconoscono tre tipi. Quella da sforzo è la più diffusa, in particolare tra le donne in quanto spesso conseguenza di gravidanza o parto, e consiste nella perdita di urina involontaria a causa dell'aumento della pressione intra-addominale. Condizione, quest'ultima, che si crea durante il sollevamento di un peso, per esempio, ma nei casi più gravi anche semplicemente con uno starnuto, una risata o un colpo di tosse. Esiste anche un'incontinenza da urgenza che si manifesta in seguito a un'improvvisa necessità di urinare difficile da trattenere. La forma mista include entrambi gli aspetti.

Possibili soluzioni


Mentre nel secondo caso è possibile intervenire con farmaci o con la chirurgia, oggi poco invasiva, per l'incontinenza da sforzo non c'erano soluzioni specifiche, ma solo la chirurgia o la terapia riabilitativa che se ben condotta comporta risultati discreti. Ma l'eventuale intervento chirurgico implica ancora una volta la necessità di esternare il problema: se la paziente deve essere ricoverata dovrà dare spiegazioni e quindi palesare il problema nel proprio ambito sociale ricadendo ancora una volta nel disagio che ciò comporta. Recentemente l'agenzia europea dei medicinali (EMEA) ha approvato un farmaco a base di duloxetina, in commercio già in Germania, in Inghilterra e in Scandinavia. Si tratta di un inibitore della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina e agisce a livello del midollo spinale sacrale dove risiedono le terminazioni nervose che controllano i muscoli perineali facendo così aumentare il tono muscolare dello sfintere. La sperimentazione è stata condotta in tre studi diversi di fase III che hanno dimostrato in modo coerente, contro un placebo, l'efficacia del farmaco. In più del 50% delle pazienti c'era una riduzione del numero di episodi e un conseguente miglioramento della qualità della vita.

Parlarne è bene, la diagnosi è meglio

L'incontinenza urinaria da sforzo non è di per sé una patologia grave ma ha un impatto importante sulla qualità della vita di una donna, che molto spesso smette di fare attività fisiche, di uscire, di partecipare a occasioni sociali e anche di fare lavori domestici per evitare sforzi. Ma modifica anche la percezione di sé. Da un intervista, condotta da Astra/Demoskopea, emerge che il 50% delle donne intervistate parla di gravi conseguenze psicologiche e il 45% lo legge come un segnale di invecchiamento, disabilitante. La conseguenza è un abbassamento dell'autostima, fino ad arrivare a vergognarsi di se stesse, da cui deriva poi il silenzio, un circolo vizioso peggiorato dalla vergogna di parlarne con il proprio medico. "In definitiva la soluzione migliore - commenta Enrico Finzi, sociologo e presidente di Astra/Demoskopea - è parlarne, se di un problema se ne parla c'è una caduta di ansia e del senso di solitudine e l'inconfessabile diventa socialmente accettato".Dell'esigenza crescente, legata anche all'invecchiamento della popolazione, si occupa da anni la Fondazione Italiana Continenza. La proposta più recente si chiama Ninfea, un progetto fortemente operativo che nasce da un adattamento delle linee guida internazionali sull'incontinenza urinaria, alla realtà italiana. Si tratta di uno strumento che consegnato ai medici di primo livello (cioè medici di famiglia e ginecologi e urologi non ospedalieri) faciliterà la diagnosi del disturbo senza dover ricorrere in prima istanza a esami specifici. Si tratta di percorsi diagnostici, diversificati per uomini e donne, che hanno due domande di ingresso, una relativa alla perdita involontaria di urina (incontinenza urinaria, donne) l'altra allo stimolo improvviso e difficoltà a rimandare la minzione. Se si risponde si ad almeno una il paziente può accedere a un percorso di diagnosi presunta e sulla base delle risposte date successivamente si giunge alla definizione del problema e a raccomandazioni e indicazioni terapeutiche.

Simona Zazzetta



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