Escherichia coli, batterio ben armato e poco conosciuto

08 giugno 2011
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Escherichia coli, batterio ben armato e poco conosciuto



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Quello che le autorità sanitarie europee stanno cercando da diverse settimane tra gli ortaggi, è un batterio appartenente alla specie Escherichia coli, simile a quelli classici associati, soprattutto nei bambini, alla sindrome emolitico uremica, ma con alcune peculiarità che lo rendono più pericoloso. Si tratterebbe di una variante che, secondo gli esperti dell'Istituto superiore di sanità (Iss), non la si può pensare nata dalla mutazione di geni, ma tutt'al più un ceppo emerso dall'acquisizione di nuovi geni per meccanismi naturali frequenti che permettono lo scambio di materiale tra i batteri.

I dati finora raccolti, spiega l'Iss, hanno permesso di capire che si tratta di un ceppo Vtec O104:H4, dotato di un sistema di adesione alla mucosa intestinale diverso da quello dei classici ceppi Vtec associati alla sindrome e simile invece a quello caratteristico di un altro gruppo di E. coli capace di provocare gastroenterite. La combinazione di questi caratteri di virulenza potrebbe spiegare l'aggressività del ceppo nei soggetti adulti, in cui provoca la sindrome emolitico uremica, che in presenza di altri ceppi Vtec compare nei bambini con meno di 5 anni. Con queste caratteristiche ha finora provocato 23 decessi, e 2.429 casi di infezione. I paesi coinvolti sono 13, ma la Germania resta il paese più colpito dove si sono concentrati 2.325 casi, di cui 642 colpiti dalla sindrome e, a oggi ci sono stati 25 decessi.

L'attività che sta ora tenendo molto impegnate le autorità sanitarie è la ricerca del batterio nei campioni di alimenti sospetti o di provenienza sospetta e capire quale sia la fonte di contaminazione. E quello che conta è il tempo: più rapidamente si ottiene una risposta e più rapidamente un alimento sospettato può eventualmente tornare in circolazione, mentre, se risulta contaminato, è importante avere una conferma entro breve. Attualmente, il laboratorio dell'Iss ha sviluppato un test che ha ridotto i tempi da 6 giorni a 48 ore e che, come spiega Enrico Garaci presidente dell'Iss, si basa sulla ricerca dei geni che codificano le verocitotossine: «Questa strategia permette di identificare i campioni negativi in 24 ore, consentendo di rimettere in circolazione alimenti non contaminati e di avere un'identificazione presuntiva di campioni positivi al batterio in 27-29 ore e la conferma definitiva in 54-56 ore» sottolinea. Anche il Centro nazionale di ricerche (Cnr) ha messo a punto un test che sfrutta la composizione molecolare del batterio per identificarlo, come spiega Antonio Malori, ricercatore del Cnr di Avellino che ha elaborato la metodologia per applicarla ai microrganismi che contaminano gli alimenti: «L'analisi consiste in una spettrometria di massa che definisce il profilo molecolare del batterio, una sorta di impronta digitale, che permette di distinguere 25 ceppi diversi di E. coli». Tuttavia, secondo alcuni esperti, serve una strategia globale per affrontare questo genere di emergenza, e il modello da seguire potrebbe essere quello che tutto il mondo usa per controllare il virus dell'influenza. L'osservazione è stata sollevata da Ilaria Capua, direttrice del Centro di riferimento per l'Aviaria presso l'Istituto zooprofilattico delle Venezie del ministero della Salute, che propone di utilizzare una banca dati in cui registrare e conservare le mappe genetiche dei patogeni (come fatto finora per i virus dell'influenza): «Il messaggio principale è che la salute dell'uomo non può essere disgiunta dalla salute animale» sostiene Capua «Il batterio, è un colonizzatore dell'apparato digerente dei bovini, nei quali non provoca malattie, e si diffonde nella catena alimentare tramite i vegetali, per esempio con l'irrigazione con acqua contaminate». Secondo l'esperta, oggi manca un approccio integrato: «Manca una sorveglianza attiva, e a oggi non è stata fatta un'analisi dei batteri nè le loro sequenze genetiche sono state depositate in tempo reale».

E, mentre le autorità tentano di mettere limite alla diffusione del batterio killer, per difendersi è bene osservare norme per la corretta igiene alimentare, senza cadere in inutili allarmismi. Oltre lavare le mani e le verdure crude ed evitare il consumo di carne cruda, mentre si cucina, è bene usare sempre coltelli, taglieri e altri utensili puliti per ogni tipo di alimento preparato e non mescolare cibi crudi con alimenti già cotti. È, invece, del tutto sconsigliata o addirittura controindicata, l'assunzione di antibiotici. In primo luogo, perché il ceppo si è dimostrato resistente, ma soprattutto perché il farmaco potrebbe favorire il rilascio della tossina, con peggioramento delle manifestazioni cliniche. La terapia antibiotica infatti uccidendo i batteri favorisce un aumento del rilascio della tossina nel lume intestinale, con conseguente aumento della concentrazione di tossina nel sangue e aumento del danno renale.

Simona Zazzetta



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