Infezioni in gravidanza: la rosolia si previene col vaccino

29 febbraio 2012
Aggiornamenti e focus

Infezioni in gravidanza: la rosolia si previene col vaccino



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Se un tempo la rosolia rientrava tra le malattie esantematiche tipiche dell'infanzia, oggi, grazie al vaccino e alla sua raccomandazione dagli anni '90, dovrebbe essere quasi scomparsa. Ma così non è, solo tra il 2005 e il 2011 è stato segnalato un focolaio epidemico, con un rischio, tra tutti il più importante per gravità: colpire donne in gravidanza e provocare la sindrome della rosolia congenita (Src) nel nascituro. «Si tratta di una sindrome caratterizzata da danni al sistema nervoso centrale» spiega Tiziana Lazzarotto, professore associato Uo di microbiologia del policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna «che provoca ritardo mentale, psicomotorio, sordità e cecità e in seguito possibile sviluppo di autismo e cardiopatie congenite».

Quando una donna in gravidanza acquisisce l'infezione, può in alcuni casi avere febbre, arrossamenti cutanei e ingrossamento dei linfonodi dietro il collo ma nella maggior parte dei casi non presenta sintomi, e può trasmetterla al feto e in alcuni casi provocare malattia e compromissione severa. Tuttavia, la catena di eventi dipende dal periodo in cui la mamma acquisisce il virus: «L'infezione, infatti, è più pericolosa se acquisita nelle prime settimane di gestazione» spiega l'esperta «in particolare nel primo trimestre della gravidanza quando il rischio di trasmissione dalla madre al feto ha una probabilità del 90% di verificarsi e nel 50% dei casi di provocare la sindrome nel feto. In questa fase, inoltre, esiste anche il rischio di aborto spontaneo e morte endouterina. Nelle settimane successive il rischio di trasmissione del virus dalla madre al feto diminuisce progressivamente e scende al 50% dopo le 15-16 settimane di gestazione, al 20-25% dopo le 20-25 settimane per aumentare nuovamente verso la fine della gravidanza. Più passa il tempo invece, il rischio di malattia del feto/neonato si abbassa progressivamente per annullarsi quando il virus è trasmesso dalla madre al feto dopo le 17-18 settimane di gestazione». Per prevenire questi rischi è importante fare diagnosi innanzitutto nella madre, e in Italia esiste un Decreto ministeriale del 1998 (Dpr245) a tutela della maternità che stabilisce che, tra gli esami del sangue previsti gratuitamente prima e in gravidanza, ci sia il test di screening della rosolia. Il rubeotest serve proprio per verificare lo stato immunitario della madre, cioè se nel siero materno ci sono anticorpi o meno contro il virus della rosolia e se eventualmente è in corso l'infezione. Ma anche le linee guida nazionali sulla gravidanza fisiologica danno indicazioni precise: «È fortemente raccomandato che le donne in età fertile o che vogliono programmare una gravidanza» chiarisce Lazzarotto «e che non ricordano di aver avuto la malattia o di aver fatto la vaccinazione, facciano il test e se sono sieronegative si sottopongano alla vaccinazione». In questi casi, è necessario attendere circa un mese prima di iniziare i tentativi di concepimento, è, infatti, sconsigliato vaccinarsi contro la rosolia durante la gestazione.

«Se al rubeotest, eseguito entro le prime 8-10 settimane di gestazione, la donna risulta sieronegativa, e quindi non immune, dovrà ripetere il controllo una volta al mese e prestare attenzione ad alcuni comportamenti» avverte l'esperta secondo cui il pericolo più importante è rappresentato dalla frequentazione di luoghi chiusi e affollati, come un cinema, per esempio, ricordando che «il virus è presente soprattutto negli adulti poiché è solo dal '90 che la vaccinazione è è raccomandata in due dosi a tutti i bambini». Le persone nate prima del 1990 sono quindi quelle più a rischio di avere infezione: è sufficiente stare in una stanza chiusa, per 15 minuti, per acquisire l'infezione, poiché un paziente infetto, che spesso è asintomatico, elimina il virus con le goccioline di saliva. Se il test del sangue materno, però, solleva il sospetto di rosolia in corso va posta, mediante test di secondo livello, la diagnosi di infezione primaria nella madre. «Se si conferma, si propone una diagnosi prenatale da avviare dopo la 20ma settimana che verifichi, tramite esame del sangue fetale e del liquido amniotico, se nel feto è avvenuta la trasmissione del virus, e, con esame ecografico morfologico se c'è una compromissione» sostiene Lazzarotto «poiché il problema non è se il feto viene infettato dal virus ma se c'è una compromissione del nascituro». Alcuni neonati, infatti, nascono con infezione ma senza sindrome: in questi casi, oltre a vaccinare la madre subito dopo il parto, vanno programmati controlli che prevedano esami del sangue, ecografie cerebrali e test dell'udito e della vista. «I danni possono manifestarsi nel tempo, con sordità e forme di autismo, quindi anche i piccoli segnali vanno riconosciuti e monitorati per poterli gestire e limitare» raccomanda l'esperta. E aggiunge: «Il primo anno di vita è quello più a rischio poiché il sistema immunitario è ancora immaturo e i controlli vanno eseguiti ogni tre mesi, dopo e fino all'età scolare vanno fatti una volta l'anno». Infine, se una neo-mamma sa di non essere immune per la rosolia, chieda al suo medico di essere subito vaccinata. Infatti la vaccinazione non è assolutamente controindicata nel puerperio ed in allattamento e in quel periodo sicuramente non contrarrà una nuova gravidanza, escludendo così i rischi possibili per il feto dovuti alla vaccinazione.

Simona Zazzetta



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