Tumori, si eredita il rischio non la malattia

25 maggio 2012
Interviste

Tumori, si eredita il rischio non la malattia



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Un efficace piano di prevenzione dei tumori deve essere volto sia a correggere, se possibile, i fattori di rischio della malattia ed è il caso della prevenzione primaria, sia a individuare precocemente i casi affetti della malattia, ed è la prevenzione secondaria. Nel primo caso intervenendo su fattori quali alcol, fumo, alimentazione e attività fisica si può ridurre il rischio di avere un cancro, nel secondo è possibile con semplici domande relative alla familiarità neoplastica, selezionare gran parte della popolazione a rischio per alcuni tumori, colon e mammella in particolare, e quindi invitarla a effettuare la prevenzione mirata. Per capire meglio questo secondo aspetto Dica33 ne ha parlato con Cristina Oliani, membro del Consiglio direttivo Cipomo e Direttore della Uoc Oncologia della Ulss5 di Montecchio Maggiore (Vi) che dirige un ambulatorio di familiarità neoplastica.

Per cominciare i tumori possono essere ereditari?
Per essere precisi non si ereditano i tumori bensì il rischio di averne uno. Nel tempo sono stati scoperti molti geni coinvolti nella cancerogenesi a vario titolo, alcuni di questi possono essere trasmessi con elevata penetranza, aumentando il rischio conseguente.

A che tumori si riferisce in particolare?
In particolare si fa riferimento ai tumori del colon e della mammella. Si tratta di carcinomi frequenti, ad alta incidenza e prevalenza, rispetto ai quali, anche grazie all'identificazione dei geni responsabili, è stato attivato un grande sforzo di tipo preventivo. Dei tumori che l'oncologo vede, su 100 tumori mammari 5 hanno una base genetica importante, negli altri può esistere una suscettibilità che, però, non è preponderante. Le cause di un tumore, è importante sottolinearlo, non sono solo genetiche o ambientali ma nella maggior parte dei casi si tratta di una interazione dei due fattori.

Si tratta di una percentuale piccola di individui ma è importante identificarli, perché?
Individuare le persone con una predisposizione genetica ha due obiettivi. Uno per il malato e per poter potenziare il follow up già nel paziente stesso. Ad esempio se il paziente ha familiarità la colonscopia viene effettuata tutti gli anni.

E il secondo obiettivo?
Può essere quello di identificare nella famiglia del paziente persone non ammalate ma a rischio elevato, alle quali può essere applicato un protocollo di sorveglianza per prevenzione secondaria mirata. Si tratta di una possibilità che si è fatta sempre più concreta negli ultimi anni e che spiega perché è così importante fare ricerca sui tumori. Dai tumori ereditari si possono acquisire informazioni importanti per quelli sporadici.

Com'è organizzato il vostro laboratorio di familiarità neoplastica?
Si tratta di strutture interdisciplinari che oltre alla figura dell'oncologo coinvolgono un genetista, uno psicologo e uno specialista di patologia. Il paziente arriva nel nostro ambulatorio inviato generalmente dal medico di base e si provvede a studiare la familiarità neoplastica dall'albero genealogico. La cosa fondamentale è non creare "ammalati di rischio" per questo in tutte le fasi il paziente è accompagnato e si cerca di fargli capire quanto c'è di positivo nella possibilità di una prevenzione mirata, come trovare lesioni precancerose o tumori mammari allo stadio iniziale. Si tratta di un intervento importante ma non si deve rovinare la qualità della vita.

Si tratta di screening costosi?
Purtroppo sì e per questo come società scientifiche stiamo cercando di sensibilizzare le istituzioni affinché questo tipo di sorveglianza sui tumori ereditari venga riconosciuta. È inutile trovare persone portatrici di mutazioni se poi devono pagare gli esami di sorveglianza. Attualmente l'unica patologia riconosciuta dal Ssn è la poliposi. Anche il test per identificare la familiarità è molto costoso, ma in alcune Regioni, tra cui il Veneto, si riesce a "coprirlo" per evitare che il costo ricada sul paziente. È bene rivolgersi a centri di eccellenza per questo tipo di indagini, che oltre a effettuare l'indagine scientifica conducono il paziente nella comprensione. L'obiettivo, infatti, non è trovare la mutazione quanto intraprendere un cammino di prevenzione.

Marco Malagutti



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