Api, vespe, tafani: non facciamoci rovinare le vacanze da un insetto

07 agosto 2020
Aggiornamenti e focus, Speciale Estate

Api, vespe, tafani: non facciamoci rovinare le vacanze da un insetto



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Ogni mamma è preparata a un evento del genere e, solitamente, in borsa una pomata non manca mai: la puntura di un insetto d'estate mentre si gioca all'aperto infatti non è cosa rara. E, appunto, quasi sempre basta la semplice applicazione di una pomata per ristabilire la serenità e asciugare le lacrime del piccolo. Ma in una serie di casi rari (una recente statistica indica che si tratta veramente di poche eccezioni: una percentuale variabile dallo 0,3 per cento all'1,0 per cento di tutti i casi di anafilassi che si diagnosticano in pediatria sono legati ad una puntura d'insetto) si può profilare una problematica più seria.

«Un evento di questo tipo» sottolinea Susanna Esposito, direttore della Uoc pediatria 1 clinica, Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano e presidente della Società italiana di infettivologia pediatrica (Sitip), «ha, oltre alla gravità immediata che richiede un pronto e adeguato intervento per evitare situazioni drammatiche, anche il ruolo di indicatore di un rischio futuro da evitare».

Gli insetti che più frequentemente determinano problemi allergici da punture sono api, vespe, calabroni, tafani, formiche, zanzare e zecche e colpiscono le zone più esposte e scoperte del corpo come viso, braccia, gambe, caviglie e mani. Come riconoscere i sintomi? Generalmente si tratta di un arrossamento nella zona della puntura stessa, zona che appare rigonfia e dolente sia spontaneamente che alla pressione, un fastidio o dolore che si sviluppa nell'arco di alcuni minuti che raggiunge il suo massimo in 24-48 ore e si risolve completamente in 5-10 giorni, un po' di febbre e una sensazione di malessere nei casi più gravi: entrambi, fortunatamente, sono destinati a scomparire abbastanza rapidamente.

Se tutto si ferma qui è sufficiente qualche pomata a base di anti-istaminici e, se c'è febbre e molto dolore, un banale antifebbrile come paracetamolo o ibuprofene.

Più importanti, invece, dal punto di vista clinico sono i casi che si manifestano con orticaria generalizzata o angioedema in sedi distanti dalla puntura: questi segni indicano un coinvolgimento sistemico fortunatamente lieve ma certamente più impegnativo di quello rappresentato dalla sola lesione locale. In questi casi, il trattamento con anti-istaminici o cortisonici per via orale rappresenta la scelta migliore per ricondurre rapidamente alla norma il quadro clinico.

I casi veramente gravi sono, invece, quelli con anafilassi. I bambini con questa manifestazione si presentano con un importante quadro cardiovascolare (sincope, ipotensione, e collasso), associato adisturbi respiratori (fischi e sibili all'ascoltazione toracica, stridore laringeo) e, più raramente, a un quadro gastroenterico (coliche addominali, diarrea).
In questi casi, l'intervento terapeutico deve essere molto più tempestivo e aggressivo perché di reazione anafilattica si può morire o possono persistere problemi clinici importanti, come conseguenza della caduta della pressione arteriosa per un lungo periodo di tempo, quello cioè necessario al ripristino di valori accettabili. In questi casi è fondamentale la somministrazione di adrenalina, così come quella di ossigeno e di fluidi per via endovenosa e l'esecuzione di accurati esami di laboratorio volti a confermare la sensibilizzazione al veleno di un determinato insetto e a decidere come impostare le procedure di prevenzione di ulteriori manifestazioni cliniche gravi in caso di successive punture di insetto.

È dimostrato, infatti, che chi ha sofferto di una reazione allergica tipo shock anafilattico abbia un elevato rischio di presentare una simile manifestazione clinica qualora sia nuovamente punto dallo stesso insetto o da un altro che ha un veleno con caratteristiche compositive simili, come nel caso delle api e delle vespe. Il rischio è notevole perché quantificato in circa il 20 per cento e giustifica la desensibilizzazione specifica. Ciò non vale, invece, per coloro che, pur presentando sintomi allergici non arrivano allo shock e che, di conseguenza, non richiedono alcun intervento preventivo.



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