Scuola multirazziale e multiculturale: una risorsa per i giovani

03 novembre 2014
Interviste

Scuola multirazziale e multiculturale: una risorsa per i giovani



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Secondo i dati del ministero della Pubblica istruzione, gli alunni con cittadinanza straniera iscritti alle scuole italiane sono stati 786.630 nell'anno scolastico 2012/2013, oltre 30mila in più rispetto all'anno precedente e sempre più spesso nati nel nostro Paese. Il 78 per cento degli alunni delle scuole del centro nord ha compagni di classe stranieri, mentre la percentuale scende al 33 per cento al sud e nelle isole, ma - indipendentemente dai dati numerici - resta il fatto che la multiculturalità e multirazzialità della scuola sono ormai una realtà nel nostro Paese e non sono sempre facili da gestire.
Il dottor Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) spiega come questa situazione non rappresenta un limite ma una vera e propria risorsa per le nuove generazioni di studenti e per la scuola.

Quali sono i vantaggi di una scuola multirazziale?
«"Arricchiamoci delle nostre differenze" affermava lo scrittore e poeta francese Paul Valéry. E la scuola multirazziale e multiculturale di oggi ci regala proprio questa possibilità di arricchimento. Avere compagni di classe stranieri, che arrivano da Paesi e tradizioni anche molto distanti dalle nostre significa confronto tra culture, abitudini di vita, alimentazioni e usi diversi. La scuola è un luogo di incontro dove le esperienze raccontate dai protagonisti rappresentano le diversità culturali che ci possono arricchire».

Quali i principali ostacoli all'integrazione nelle classi (sia da parte degli italiani sia degli stranieri)?
«Innanzitutto è importante sottolineare che secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Social and behavioral sciences che ha coinvolto 1.300 pre-adolescenti italiani e stranieri che frequentano la scuola media in Abruzzo emerge che gli studenti sia italiani che stranieri non percepiscono atteggiamenti di discriminazione da parte dei compagni di classe o degli insegnanti. Detto ciò, resta un grande ostacolo all'integrazione completa, cioè il fatto che appena suona la campanella tutti escono e vanno nei loro rispettivi mondi. La scuola è il primo luogo di incontro, ma l'esperienza rimane "frammentata"».

Ci sono differenze nei processi e nelle dinamiche di integrazione in base all'età?
«In effetti queste differenze ci sono e più i ragazzi crescono, più difficili diventano le integrazioni a meno che non si tratti di integrazioni funzionali a un obiettivo, come una squadra sportiva, un gruppo musicale, eccetera. Sempre dalla ricerca appena citata emerge per esempio che quasi un terzo degli adolescenti intervistati non frequenta coetanei di nazionalità diversa e che circa la metà degli alunni stranieri frequenta coetanei della stessa nazionalità».

E in base alla comunità di origine del bambino straniero?
«Teniamo presente che innanzitutto che i bambini e i ragazzi stranieri che frequentano le scuole italiane sono di nazionalità molto diverse e provengono da circa 200 Paesi differenti. In alcuni casi le differenze culturali, linguistiche e sociali sono più marcate e possono rendere più complicato il processo di integrazione, come si verifica per esempio con gli alunni della comunità cinese, quella che si integra con più difficoltà».

Che ruolo hanno i genitori? Possono aiutare a limitare la cosiddetta "integrazione frammentata"?
«I genitori italiani hanno un ruolo importante nel favorire l'integrazione extra-scolastica e limitare quindi quell'integrazione "frammentata" che rischia di creare momenti comuni legati solo alle ore trascorse a scuola. Mamme e papà italiani possono - anzi dovrebbero - creare momenti di confronto e di scambio, anche aprendo le loro case ai bambini stranieri, ma il percorso è ancora in salita».

Quale ruolo ha la scuola in questo processo di integrazione?
«La scuola ha un ruolo primario, quello dell'integrazione sulla cultura, ha anche la facilitazione di essere il primo passo dell'integrazione ufficiale. Spesso si integrano prima i ragazzi dei genitori, per via del linguaggio che apprendono in maniera costruttiva tra i banchi di scuola».



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