Il punto sul “Viagra femminile”, con la ginecologa che lo ha sperimentato in Italia

07 settembre 2015
Interviste

Il punto sul “Viagra femminile”, con la ginecologa che lo ha sperimentato in Italia



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Si fa un gran parlare, nelle ultime settimane, del nuovo farmaco che è stato appena approvato negli Stati Uniti per favorire il recupero della perduta sessualità delle donne: la flibanserina, da molti ribattezzato "Viagra femminile" (anche se con il Viagra non ha in realtà nulla a che vedere). L'approvazione da parte della Food and drug administration (l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) ha suscitato reazioni molto forti e contrapposte.
Per provare a inquadrare al meglio la notizia Dica33 ha chiesto aiuto a Rossella Nappi, ginecologa ed endocrinologa dell'Università di Pavia, che alcuni anni fa ha coordinato per conto della casa farmaceutica produttrice la parte italiana dello studio clinico condotto in 13 paesi europei per la prima richiesta di approvazione, che ottenne semaforo rosso sia in Europa sia negli Stati Uniti.

Professoressa Nappi, lei ha pubblicato in questi giorni un editoriale su una rivista scientifica internazionale invitando a non minimizzare il disagio provato da molte donne, e sottolineando la necessità di svolgere ricerche per arrivare all'approvazione di nuovi farmaci. Può spiegarci che cosa intendeva?
«Vorrei premettere che quel mio articolo è stato molto frainteso. È stato interpretato da alcuni come un incoraggiamento ad approvare il farmaco, e da altri come un grido di allarme nella direzione opposta, nei confronti di un farmaco che presenta un'efficacia modesta ed espone a effetti collaterali significativi. In realtà il mio era un discorso generale, sulla necessità di studiare in modo sempre più approfondito possibili rimedi anche farmacologici per risolvere o attenuare una situazione di disagio che non è meno grave di quella che colpisce i maschi, anche se sessualità e desiderio presentano differenze molto significative tra i due sessi».

Intende dire che per i problemi legati alla sessualità femminile è più difficile che la soluzione venga da un farmaco?
«Nella donna la situazione è più complessa, da diversi punti di vista. Innanzitutto non si tratta di ristabilire un buon afflusso di sangue negli organi genitali, come avviene con i farmaci approvati per l'uomo, in cui l'effetto è molto meccanico. I disturbi del desiderio femminile sono spesso legati a molti fattori di tipo non solo biologico, ma anche psicologico e relazionale, perché influenzati anche dal rapporto con il partner. Inoltre per la donna il ruolo degli ormoni è notevole perché la sessualità è molto legata alla fertilità. Per di più nella donna giovane in età fertile, il bilancio tra rischi e benefici deve sempre considerare anche i rischi che insorgerebbero in caso di una possibile gravidanza».

E nel caso del cosiddetto "Viagra femminile", la flibanserina, com'è il bilancio tra rischi e benefici?
«È difficile dirlo con certezza, anche perché la sperimentazione americana ha fornito un risultato positivo, seppur modesto, in termini di miglioramento dei disturbi del desiderio, ma quella condotta in Europa pochi anni fa, cui ho partecipato per l'Italia con l'Università di Pavia, non ha dato risultati univoci in tutti i Paesi e, infatti, la richiesta di approvazione presentata anni fa alle autorità regolatorie europee è stata bocciata. Nel condurre la ricerca ci siamo resi subito conto che i questionari creati per misurare desiderio e piacere sessuale delle donne americane non erano del tutto adatti alla sensibilità e alle abitudini europee, anch'esse molto diverse tra Scandinavia e Italia, per esempio.
In dettaglio, secondo gli studi americani l'uso continuativo del farmaco comporta un aumento significativo rispetto al placebo del desiderio sessuale e del numero di rapporti sessuali: in media le donne hanno un rapporto sessuale in più al mese, con il rischio di soffrire di nausea e vertigini nel 10 per cento circa dei casi, e di avere interazioni se si consumano alcolici. Gli effetti cominciano a manifestarsi dopo 6-8 settimane. All'interno di questo dato medio ci sono però marcate differenze da donna a donna: in linea di massima funziona meglio nelle donne che hanno un buon rapporto di coppia e un buon livello di autostima».

Che cosa raccomanda alle donne italiane che vorrebbero provarlo?
«Come ho detto la richiesta di approvazione in Europa è stata bocciata alcuni anni fa, e poco dopo la molecola è stata venduta a un'azienda americana, che al momento non pare interessata al mercato europeo. In futuro chissà!».

E se qualcuna volesse procurarsela all'estero, o attraverso Internet?
«La mia raccomandazione è quella di non assumerla senza la supervisione di uno specialista. Non solo e non tanto per la gravità dei possibili effetti collaterali, ma perché il disturbo del desiderio, o il dolore nel rapporto che a volte lo accompagna, potrebbero nascere da una condizione patologica risolvibile con altri mezzi, e che rischierebbe magari di restare non diagnosticata a lungo. Fra l'altro esistono altre possibili terapie, e altri farmaci sono allo studio».

Fabio Turone



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