Fertilità: ecco cosa c’è da sapere

12 settembre 2016
Interviste

Fertilità: ecco cosa c’è da sapere



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La fertilità è un diritto, un dovere, un bene comune? Indipendentemente da quale significato o definizione si voglia utilizzare per descrivere la possibilità di avere un figlio, quello della fertilità resta un tema molto caldo sotto diversi punti di vista, da quello più squisitamente scientifico a quello morale o psicologico. E in Italia il dibattito si è ulteriormente infuocato in occasione della presentazione della campagna pubblicitaria per il primo Fertility Day, in programma il prossimo 22 settembre.
In un simile scenario abbiamo ritenuto fondamentale fornire informazioni scientificamente corrette sul tema per aiutare chi ne ha bisogno a compiere scelte più consapevoli. Ne abbiamo parlato con Andrea Borini, responsabile scientifico del network 9.baby e presidente della Società italiana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione.

Partiamo dall'inizio: cosa si intende esattamente per sterilità e per infertilità? Quando in una coppia si può parlare di queste condizioni?
«Nella lingua italiana esiste una distinzione tra i due termini ma si tratta di una differenza molto sottile e importante soprattutto per gli specialisti che devono decidere come procedere nei trattamenti. A conti fatti in entrambi i casi il risultato è l'impossibilità di avere un figlio. In dettaglio però si definisce sterile una coppia che cerca figli da oltre un anno e non ha mai avuto gravidanze, mentre si parla di infertilità nel caso di coppie che non hanno mai avuto figli, ma hanno avuto gravidanze che però hanno portato ad aborto».

Diamo qualche numero. Quali sono le dimensioni del problema?
«Pur non esistendo un'anagrafe dedicata all'infertilità, si calcola che nelle società economicamente evolute circa 1 coppia su 5 o 6 in età fertile, ovvero tra i 16 e i 44 anni, abbia problemi nel riuscire ad arrivare a una gravidanza. Questi numeri rappresentano solo una stima, probabilmente inferiore alla realtà, dal momento che una parte delle coppie in difficoltà chiede aiuto, ma una parte più grande non lo fa: perché soffre troppo del mettere al corrente altri (medico incluso) del problema, per mancanza di risorse, per convinzioni etico/morali, eccetera. Ritornando ai numeri sappiamo per esempio che i cicli di fecondazione in vitro in Italia sono circa 60mila ogni anno, un numero moto elevato anche se è importante ricordare che non equivale a 60mila donne che fanno ricorso alla tecnica poiché molte coppie ripetono più volte il trattamento».

Quali sono le principali cause dell'infertilità?
«Le cause possono essere davvero molte ed è impossibile riassumerle in poche parole. Si parla in genere di condizioni patologiche e malattie che possono compromettere la fertilità come per esempio la carenza di spermatozoi nell'uomo che può derivare da problemi costituzionali, molto probabilmente genetici, anche se non si conosce esattamente il gene (o i geni) coinvolto. Nelle donne si va dalla menopausa precoce a molti altri disturbi legati allo stile di vita. Avere rapporti sessuali con molti partner diversi senza usare profilattico può portare per esempio a un aumento di patologie delle vie genitali femminili, in particolare delle tube. L'infezione da Clamidia per esempio può portare infiammazioni della tuba che nel tempo portano l'organo a non funzionare più come dovrebbe».

Ci possono essere anche cause psicologiche che influenzano la fertilità?
«Senza dubbio queste cause non patologiche ma psicologiche esistono, ma parlandone si entra in un campo minato. La medicina tradizionale infatti crede poco all'influenza della parte emotiva sul non riuscire ad arrivare alla gravidanza. Resta il fatto che ci sono forme indirette di influenza della psiche o dell'umore sulla fertilità: se per esempio una persona soffre molto per il fatto di non riuscire ad avere una gravidanza, potrebbe arrivare a uno stato in cui rifiuta di avere rapporti».

E veniamo a uno dei punti più discussi nei giorni scorsi: l'età. Quanto conta per chi vuole avere un figlio?
«Dal punto di vista della biologia non ci sono dubbi: aspettare troppo tempo fa diminuire la possibilità di successo soprattutto per le donne. A mio parere quindi è possibile anche decidere volontariamente di posticipare la gravidanza, ma è fondamentale conoscere davvero a fondo tutte le implicazioni di questa scelta. Anche se da punto di vista sociale oggi a 40 anni si è considerati giovani, dal punto di vista biologico la situazione è diversa: ottenere una gravidanza diventa più complicato con il passare degli anni e i rischi per mamma e bambino aumentano notevolmente. Anche quando si fa ricorso a tecniche di fecondazione assistita: con la fecondazione in vitro la probabilità di successo arriva quasi al 50 per cento per una donna di 25 anni contro il 15 per cento di una che di anni ne ha 40. Oggi comunque ci si rivolge ai centri per la procreazione medicalmente assistita sempre più tardi, in media a 36,7 anni e nel 33 per cento circa dei casi dopo i 40 anni».

Qual è il percorso da seguire per una coppia che non riesce ad avere figli?
«Dopo un anno di tentativi fallimentari bisogna rivolgersi al ginecologo per parlare del proprio problema e dopo questo incontro si esegue una batteria di esami volti a chiarire il quadro di salute della coppia. Molte situazioni sono semplicemente "aggiustabili" e la fecondazione in vitro è destinata solo a una piccolissima parte delle coppie che chiedono aiuto: non è detto infatti che questo intervento sia adatto sempre e a tutti e spesso sono sufficienti interventi medici (non chirurgici) o modifiche più o meno importanti dello stile di vita».

Cosa manca secondo lei in Italia per poter ridurre il peso dei problemi legati alla fertilità?
«Il punto principale a mio parere resta la conoscenza, poiché conoscere il problema porta alla libertà di compiere una scelta consapevole. Il piano nazionale per la fertilità è soprattutto volto a fare arrivare informazioni corrette dal punto di vista scientifico sulla biologia della fertilità, ma resta un punto da chiarire: le informazioni vanno portate ai più giovani, magari con un programma strutturato di informazione all'interno delle scuole. Dire a una persona di 40 anni che la fertilità diminuisce con l'età serve a poco...».

Cristina Ferrario



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