Terapia genica in stand-by

24 gennaio 2003
Aggiornamenti e focus

Terapia genica in stand-by



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La cronaca degli ultimi mesi parla di studi bloccati e rischi per i pazienti, ma non è chiaro se ciò significa anche il fallimento definitivo della terapia genica. Gli addetti ai lavori non sembrano così scoraggiati, invitano alla prudenza in entrambe le direzioni e consigliano di mettere sul piatto della bilancia benefici e pericoli di questa tecnica.
Se si guardano i numeri, nell'autunno 2002 il rischio di insuccesso era ancora di 1 su 10: dei 10 giovani pazienti in cura in un solo caso si era verificato un evento avverso; in quattro mesi, dunque, il rischio è praticamente raddoppiato.
Ma la terapia genica rimane ancora l'unica alternativa al trapianto di midollo osseo per la X-SCID, la malattia dei pazienti dello studio, e la sua riuscita dipende, tra l'altro, dalla compatibilità con il donatore, e nell'80% dei casi non c'è.

Un gene sano nel posto sbagliato


I bambini in cura presso l'ospedale parigino, sede della ricerca sotto i riflettori, sono affetti da una grave immunodeficienza combinata legata a una mutazione presente sul cromosoma X. La malattia è la conseguenza della mancanza di un enzima: nei linfociti T immaturi si accumulano metaboliti tossici a discapito della sintesi del DNA; si osserva quindi la morte di queste cellule e una grave debolezza del sistema immunitario.
La mutazione responsabile è localizzata in un solo gene e la terapia genica mira a inserire il gene corretto nelle cellule con il deficit, tramite un vettore, in questo caso un virus, che per sua natura possiede la capacità di inserirsi nel genoma dell'ospite.
Il primo esito negativo si è verificato nel settembre scorso: nel sangue è stato rilevato un livello troppo alto di un tipo di cellule del sistema immunitario. I medici, pensando a una forma leucemica, sono riusciti a bloccarla con successo. Ma il sospetto che l'anomalia fosse legata alla terapia genica fu sollevata già allora. Il secondo caso sembra essere simile al primo ma sono coinvolti tre tipi di cellule T.
In entrambi i casi l'analisi dei DNA dei linfociti ha evidenziato che il "gene terapeutico", che contiene anche una sequenza che promuove l'espressione genica, è stato inserito nelle immediate vicinanze di un altro gene, LMO-2, noto per avere un ruolo nella patogenesi della leucemia. E' probabile che l'aumentata espressione delle proteine LMO-2, abbia contribuito allo sviluppo della malattia simile alla leucemia.

Vettore, i rischi del mestiere


La scelta di usare un retrovirus, reso opportunamente innocuo, nel caso della terapia per la SCID, nasce dalla necessità di recuperare le competenze immunitarie del paziente in modo permanente. La capacita dei retrovirus di inserire il proprio genoma in quello dell'ospite soddisfa questa esigenza. Il meccanismo di trasferimento del gene terapeutico segue le tappe tipiche del ciclo virale: essendo un virus a RNA, una volta all'interno della cellula produce una copia di DNA che si integra nel DNA cellulare.
Ma questi non sono gli unici virus scomodati dalla ricerca, anche gli adenovirus sono buoni vettori di informazioni genetiche ma risolvono il problema temporaneamente perché non si integrano e quindi il gene trasportato si esprime finché l'ospite non elimina il virus. In questo caso è necessario ripetere i cicli terapeutici.
Lo stesso risultato si potrebbe ottenere "bombardando" la cellula con molecole di DNA, nudo o rivestito da materiale proteico o lipidico, contente il gene da trasferire, ma la cellula deve essere trattata in modo da aumentarne la permeabilità. Il metodo è certamente più sicuro ma meno efficiente ed è molto usato per creare animali da laboratorio ingegnerizzati.
Nella terapia genica, infine, si distingue una tecnica ex-vivo e una tecnica in-vivo. Nel primo caso il vettore, virale o non, contenente il materiale genetico viene inserito in cellule precedentemente raccolte dal paziente e mantenute in coltura. Le cellule modificate sono poi reinoculate nel paziente. Il metodo diretto, cioè in-vivo, prevede il trattamento delle cellule bersaglio all'interno del paziente. La scelta in questo caso è dettata dall'accessibilità del distretto corporeo interessato. Lo studio francese applicava la terapia genica con retrovirus ex-vivo.

FDA prende posizione

La notizia del secondo caso francese ha raggiunto la Food and Drug Administration il 20 dicembre 2002. Le misure precauzionali attuate hanno temporaneamente bloccato tutti gli studi americani, una trentina, che sperimentano la terapia con i retrovirus per curare la X-SCID. Nonostante ciò la FDA manifesta la volontà che questi studi riprendano non appena sarà fatta chiarezza sui nuovi rischi emersi proprio per essere in grado di valutare un bilancio rischi-benefici, elemento costante di tutte le sperimentazioni e terapie.
In questo caso i benefici erano evidenti: i primi risultati della ricerca francese indicavano che 9 bambini avevano dimostrato una risposta positiva e avevano potuto lasciare l'ospedale per condurre una vita normale.

Simona Zazzetta



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