Azione protettiva, meglio di niente

20 gennaio 2006
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Azione protettiva, meglio di niente



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Pur intervenendo tempestivamente sui pazienti infartuati, il recupero della parte di miocardio divenuta ischemica rimane incompleto, in particolare negli infarti in cui si verifica il cosiddetto innalzamento del segmento ST (una condizione che si verifica con l'elettrocardiogramma). In caso di infarto, lo scopo della terapia immediata è la riperfusione, cioè si cerca di ripristinare il flusso sanguigno nel tessuto muscolare cardiaco per permettere al cuore di riprendere a funzionare. Tuttavia, il periodo di assenza dell'ossigenazione ha come conseguenza inevitabile la "morte" di una parte più o meno estesa del muscolo cardiaco, che dà origine a un rimodellamento del ventricolo sinistro. Si tratta di alterazioni morfo-funzionali che consistono in un'espansione dell'area infartuale, un ispessimento della parete, modificazioni della massa ventricolare e dilatazione della cavità ventricolare. Nel loro complesso, si innesca un processo che, se non viene interrotto, porta a una progressiva dilatazione ventricolare (che dovrebbe compensare la riduzione della contrattilità del muscolo cardiaco) con diminuzione della quantità di sangue espulsa (gettata) e, infine, scompenso cardiaco.

Risultati in dubbio


Una delle ipotesi percorribili, e sperimentata in vari studi, per tentare di migliorare la funzionalità ventricolare sinistra, implica l'uso di cellule staminali. Vengono chiamate in causa per "riparare", grazie alla loro potenziale capacità di differenziarsi in diversi tipi di cellule, le zone danneggiate dall'ischemia, e quindi limitare il rimodellamento ventricolare. Questa ipotesi si è dimostrata plausibile in alcuni studi, che riportavano un miglioramento della funzione ventricolare ma non un rallentamento del rimodellamento. In realtà, non è ancora stato dimostrato il reale vantaggio aggiuntivo di queste nuove tecniche rispetto a quelle usate nella prassi clinica. Vale a dire che gli studi fatti non avevano un gruppo di controllo che riproducesse le esatte condizioni dei pazienti nei quali invece veniva effettuato il trasferimento di cellule staminali e, quindi, non permettevano di stabilire il reale beneficio del metodo. Per togliersi il dubbio lo hanno fatto alcuni ricercatori belgi reclutando 67 pazienti con condizioni cliniche omogenee: infarto acuto con elevazione del segmento ST, che avevano subito una riperfusione mediante angioplastica (dilatazione dell'arteria con il "palloncino") con applicazione di uno stent, e che presentavano una significativa disfunzione del ventricolo sinistro.

Un effetto positivo c'è


A tutti i pazienti è stato prelevato un campione di midollo osseo da cui isolare le cellule staminali, ma solo alla metà di essi è stato fatto il trasferimento delle staminali nelle arterie coronarie, gli altri hanno ricevuto un trattamento "finto". Dopo quattro mesi di monitoraggio, si è visto che non c'erano ulteriori miglioramenti della funzione ventricolare sinistra, oltre a quelli ottenuti dalla terapia di riperfusione. Infatti non c'erano differenze di volume ventricolare sinistro tra i due gruppi, quindi il primo risultato atteso non era stato raggiunto. Tuttavia si era verificato un altro effetto, tutt'altro che trascurabile. Si era osservata, nei pazienti trattati con le cellule staminali, una riduzione dell'area infartuata, maggiore rispetto a quella notata nei soggetti di controllo. Con un'analisi mediante imaging, a distanza di quattro mesi dal trasferimento delle cellule staminali, in questi pazienti si era verificato un recupero della funzione contrattile nelle regioni infartuate, cioè necrotizzate dal mancato apporto di ossigeno, in particolare nelle zone più gravemente danneggiate. Questo risultato suggerisce un potenziale effetto biologico delle cellule staminali, per altro autologhe, quindi senza rischi di incompatibilità, le quali potrebbero avere un'attività protettiva e rigeneratrice nei pazienti infartuati.
In definitiva, anche se non è stato osservato quanto ci si aspettava, i risultati incoraggiano a proseguire la sperimentazione con le cellule staminali in ambito cardiologico, anche perché il profilo di sicurezza del metodo è sufficientemente documentato in questo e in altri studi. Ora bisogna cercare le migliori condizioni per un trasferimento di cellule e individuare la popolazione di pazienti che più possa beneficiarne.

Simona Zazzetta



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