Precoci e intensive

06 ottobre 2006
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Precoci e intensive



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Il primo studio clinico randomizzato che ha impiegato una statina per la riduzione degli eventi cardiovascolari è stato lo studio 4S, pubblicato nel 1994, che è risultato fondamentale nel dimostrare l'utilità della simvastatina nella prevenzione cardiovascolare. Da lì è stato un crescendo di studi, con risultati altalenanti, al termine del quale si può dire che le statine riducono mortalità e morbidità tra i pazienti con malattia cardiovascolare. Resta, però, ancora ambiguo il loro ruolo a breve termine nelle sindromi coronariche acute. I dati, infatti, sono inconsistenti e spesso è stato sottovalutato il loro beneficio terapeutico. Una review, pubblicata sugli Archives of Internal Medicine si è soffermata su questo aspetto con risultati piuttosto soddisfacenti per le tanto discusse molecole.

Effetto pleiotropico


Il principio d'azione di cui si avvalgono le statine si basa su un'attività diretta a ridurre la sintesi del colesterolo endogeno. Questo processo di sintesi avviene normalmente nel fegato e le statine agiscono inibendo l'attività dell'enzima HMG-Coa reduttasi, che è un enzima indispensabile per la sintesi del colesterolo. La loro efficacia sta proprio nella riduzione del colesterolo a carico, in particolare, della frazione LDL, quella cattiva. Ma al di là dei noti effetti sul livello di colesterolo le statine possono avere quelli che si definiscono effetti pleiotropici, che spostano le indicazioni di questa famiglia di farmaci da agenti ipolipemizzanti ad agenti anti aterosclerotici. Si tratta di effetti, cioè, che coinvolgono le cellule endoteliali, le cellule muscolari lisce, i monociti-macrofagi e i linfociti T e interferiscono così, notevolmente, nella fisiopatologia della placca aterosclerotica e nell'evoluzione della placca stessa. Si determinerebbe in questo modo un effetto terapeutico ben più ampio e complesso di quello semplicemente ipocolesterolemizzante, che coinvolge numerosi aspetti della malattia aterosclerotica. Lo scopo dello studio degli Archives è stato di valutare la letteratura esistente sull'argomento al fine di stabilire se una precoce, intensiva terapia con le statine riduca il rischio di morte e gli effetti cardiovascolari avversi in pazienti con sindromi coronariche acute. I risultati sembrano incoraggianti.

Lo studio degli Archives


A giudicare dagli esiti della review intervenire subito e con dosi massicce di queste sostanze riduce sensibilmente il rischio di morte e di altri problemi indesiderati dopo due anni di follow-up. Lo studio ha analizzato a fondo i risultati di 13 trial clinici condotti su un totale di quasi 18mila persone con sindrome coronarica acuta. L'analisi dei dati evidenzia che questi benefici si manifestano tra i 4 e i 12 mesi, quando diventano statisticamente significativi. Nei due anni presi in esame la terapia con le statine, purché rapida e intensiva, riduce di qualcosa meno del 20% il rischio di sviluppare disturbi cardiovascolari a seguito di un infarto o problemi analoghi. Senza particolare evidenza che a questo contribuisca la riduzione del colesterolo LDL. Sembra, invece, giocare un ruolo determinante nella compliance del farmaco l'aver cominciato la terapia durante un ricovero, cioè il paziente che ha iniziato la terapia in ospedale più facilmente la prosegue. Resta l'annoso problema degli effetti collaterali spesso associati a questi farmaci: epatite, miosite e rabdomiolisi in particolare. I medici, infatti, spesso rifuggono dall'uso massiccio di questi farmaci nel timore di effetti avversi. I ricercatori, dal canto loro, sostengono che gli effetti avversi gravi sono piuttosto rari. Basta a rassicurare?

Marco Malagutti



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